Tranne rare eccezioni, il sistema bancario italiano nel suo complesso è attraversato da movimenti tellurici profondi e da orizzonti evolutivi incerti che sembrano allontanare sempre di più l’uscita dalla crisi. Eppure, a una prima analisi, il ruolo della tecnologia sembra assolutamente marginale in questo contesto.
Nuove sfide
Facciamo qualche esempio. Gli npl, croce del sistema e delizia dei “fondi locusta”, le trasformazioni in Spa, i salvataggi strategici, il riposizionamento delle altre popolari e delle Bcc e, soprattutto, l’era dei tassi negativi, della fine del margine finanziario e degli esuberi sono tutti elementi che sembrerebbero figli della crisi dell’economia degli atomi e non della grande trasformazione in corso generata dall’avvento dell’economia dei bit e del Fintech.
Proviamo a pensarci. Uno degli attuali problemi strategici del sistema bancario è quello del mismatching tra durata degli impieghi e della raccolta. Prestiti, mutui e fidi hanno duration spesso superiori ai 10 anni. Nell’era del QE delle grandi banche centrali (Fed, Bce, BoJ), la raccolta invece è estremamente volatile: il 90% è concentrata su durate brevissime, oltretutto sensibilissima alle offerte sul tasso. Un mutuo a 20 anni non può essere oggetto di una call, mentre la raccolta oggi c’è e domani potrebbe non esserci più se esiste un mercato che garantisce condizioni migliori in un periodo di tassi praticamente a zero.
Ricavi cercasi
Tranne, ancora una volta, rare eccezioni, le banche non hanno poi commissioni da servizi in grado di compensare il mancato introito derivante dal margine finanziario. Come dire: l’economia degli atomi sembra ancora vincente sull’economia della conoscenza e dei bit. Ma il futuro, purtroppo o per fortuna, non sarà più così. La pressione sui processi di adeguamento alle nuove tecnologie da parte della clientela avrà, nel medio-lungo periodo, un impatto molto più strategico sui business plan di problemi come quelli già citati.
La soft revolution
Il tema di fondo è allora costruire piani industriali coerenti con una corretta analisi del contesto. Il vero problema strategico nel private banking (ma non solo) è uno solo: costringiamo quasi a forza il cliente a utilizzare app e banca on-line per abbattere il cost/income senza capire che la soluzione giusta sarebbe quella di trasformare la filiale da “luogo di transazione” a “luogo di relazione”. Non più tecnologia per fare robo-advisory, ma fintech per fare robo-for-advisory. Ovvero supporto tecnologico alla qualità nella relazione che trasforma il valore prestazionale di breve periodo in valore relazionale di lungo periodo. Una vera e propria soft revolution.
I trend emergenti
Ed ecco anche perché le banche devono affrontare già da ora, in un mondo che ancora appartiene all’economia degli atomi, i trend tecnologici dell’economia dei bit che verrà:
• Big data, ovvero big information, big insights e relativi sistemi decisionali;
• Big mobility, ovvero nuovi mercati e nuovi canali di trasmissione e di sbocco;
• Big social, ovvero convergence, collaboration, community, content e cyber-security.
Della serie: C come complesso? Vero ma, come afferma una giovane brillante come Alice Giulia Alessandroni in un suo recente lavoro, se la banca surfa sull’onda dei trend tecnologici, vince. Altrimenti annega.