Voluntary flop

Alessandro Dragonetti*

A poche settimane dalla chiusura per la presentazione delle istanze per regolarizzare la propria posizione con il Fisco e far riemergere capitali non dichiarati, il numero di contribuenti che hanno aderito alla Voluntary Disclosure – bis risulta ancora troppo basso. Se la precedente edizione aveva permesso allo Stato di incassare 4 miliardi di euro, le stime dell’Agenzia delle Entrate, questa volta, si fermano a 1,6 miliardi. Considerando che precedentemente erano “rientrati” 60 miliardi di euro, questa volta ci si attende una cifra molto inferiore.

 

Ostacoli lungo il percorso

Eppure dovrebbe essere uno strumento con una logica win-win poiché permette al contribuente di regolarizzare la propria situazione e all’Amministrazione di incassare le imposte dovute (unitamente alle sanzioni ed agli interessi). Purtroppo, la Voluntary Disclosure-bis pare essere uno strumento non soddisfacente che presenta diversi ostacoli e insidie. I contribuenti non solo non sono incentivati a presentare l’istanza, ma diversi elementi possono rappresentare un elemento scoraggiante. Ad oggi, gli unici ai quali si consiglia di procedere sono coloro che si aspettano un controllo da parte dell’Amministrazione, che in qualche modo sono costretti a regolarizzarsi per evitare sanzioni più pesanti. Per tutti gli altri, invece, non risulta a prima vista conveniente, salvo che non si capisca che oramai lo scenario di riferimento è completamente cambiato e tutti i contribuenti irregolari saranno, prima o poi, presi.

 

Il nodo del contante

L’ostacolo principale che scoraggia i contribuenti a presentare l’istanza è il tema del contante: tanto quello depositato nel periodo di osservazione sui conti esteri quanto quello in giacenza nelle cassette di sicurezza. Infatti, la necessità di dare spiegazioni oggettivamente documentate sulla fonte del contante rappresenta un serio deterrente (talvolta per impossibilità oggettiva di fornire spiegazioni) all’adesione all’istituto premiale. Risulta sostanzialmente impossibile dimostrare all’Agenzia delle Entrate da dove provengano i contanti oggetto di versamento nel periodo di osservazione (2010-2015).

Questa criticità è tipicamente italiana, in quanto nel nostro paese l’utilizzo del contante (anche non dichiarato) è più frequente rispetto ad altri Paesi. Appare quindi evidente come l’attuale declinazione della Voluntary Disclosure sia insufficiente per il raggiungimento degli obiettivi dell’amministrazione finanziaria.

In questo contesto, i contribuenti non solo non hanno incentivi a far riemergere il contante, ma non si sentirebbero tutelati dal Fisco, rendendo questo strumento totalmente inefficace. La bassa adesione sino ad ora rilevata ne è la dimostrazione. In altri paesi europei esistono strumenti simili, ma non sono replicabili in Italia, poiché all’estero l’utilizzo del contante è decisamente limitato e non si pone questo problema.

 

Efficacia limitata

Dall’altra parte, i contribuenti pensano di poter scegliere se presentare l’istanza o ricorrere ad altri strumenti come il ravvedimento operoso. Quello che non è chiaro è che in realtà non c’è scelta e non si può considerare il ravvedimento come un’alternativa poiché copre un periodo di tempo limitato e non ha le ampie coperture sanzionatorie tipiche della voluntary. Inoltre, se un contribuente decidesse di ricorrere al Ravvedimento Operoso in questa fase, l’Amministrazione potrebbe chiedere conto delle motivazioni per cui non ha aderito alla voluntary e, comunque chiedere di visionare le movimentazioni dei conti e delle posizioni estere nel periodo di riferimento.

Più in generale, se si vogliono recuperare capitali nascosti al Fisco, specialmente i contanti chiusi nelle cassette di sicurezza, bisogna agire su quei contribuenti che definibili come “irriducibili”, cioè coloro che non si fidano ancora dell’Amministrazione finanziaria e che invece andrebbero incentivati a far riemergere le posizioni e gli investimenti non dichiarati. A tal fine la certezza delle posizioni assunte dall’amministrazione finanziaria e l’omogeneità di tali posizioni a livello nazionale costituirebbe certamente un incentivo.

 

*Managing director, head of tax di Bernoni Grant Thornton

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