Perché gli ETF saranno i vincitori della sfida di Mifid II

Esistono almeno due motivi che faranno degli Exchange Traded Fund i beneficiari diretti delle novità contenute nella Direttiva Mifid II in vigore dallo scorso 3 gennaio. E’ l’opinione di Emanuele Bellingeri, responsabile Italia di iShares.

Innanzitutto la trasparenza sui costi promessa ai risparmiatori dalla Direttiva indurrà l’industria finanziaria a ridurre il peso degli oneri, e gli ETF troveranno di conseguenza più spazio nei portafogli degli investitori.

“L’atteso aumento della trasparenza nella struttura dei costi dei prodotti di risparmio gestito porterà i clienti finali ad una maggiore attenzione ai costi e alla ricerca di soluzioni alternative. Questa consapevolezza potrebbe progressivamente condurre ad una contrazione dei livelli di pricing applicati ai prodotti di risparmio gestito nel corso dei prossimi anni, con un impatto generalizzato sull’industria dell’asset management. Non necessariamente pero’ pensiamo tutto cio’ si tradurra’ in una riduzione dei margini, se i distributori sapranno ripensare la propria offerta, aumentando progressivamente la componente di prodotti a piu’ basso costo”.

L’altro driver identificato e’ invece legato ad un ruolo sempre crescente della consulenza fee based, rispetto al tradizionale collocamento, facilitato potenzialmente dal supporto di servizi digitali e da una sempre maggiore attenzione alla qualita’ dei prodotti e dei servizi offerti.

Ecco allora riassunti di seguito alcuni dei principali provvedimenti previsti di Mifid II.

 

Cosa cambia con Mifid II

  • L’avvento della piena trasparenza dei costi e il processo di selezione degli strumenti influenzerà anche il modus operandi delle gestioni patrimoniali e dei servizi di portafoglio aggregati. Gli operatori saranno tenuti a dettagliare sia il costo del servizio che gli oneri connessi all’investimento negli strumenti compresi all’interno delle varie soluzioni, facendo quindi emergere l’onerosità effettiva. I costi saranno espressi in valore assoluto. Ci si aspetta che la maggiore trasparenza spingerà gli intermediari ad utilizzare in modo più intenso gli strumenti passivi, che riescono a coniugare l’efficienza operativa con una struttura di costi molto competitiva.
  • Gli intermediari dovranno poi dotarsi di strutture di governance tali da garantire che i prodotti finanziari vengano distribuiti ai clienti sulla base delle loro esigenze e caratteristiche. È da rilevare che nei mercati che hanno già completato la transizione verso modelli di consulenza indipendente, come Gran Bretagna e Olanda, l’utilizzo degli ETF e dei prodotti indicizzati è letteralmente esploso: dall’introduzione della Retail Distribution Review (RDR) in Gran Bretagna nel 2013 l’80% dei flussi netti è confluito su prodotti passivi (fonte: Retail Distribution Review post implementation review, Europe Economics).
  • Mifid II prevede anche una serie di disposizioni ispirate al dovere di agire nel miglior interesse del cliente (suitability rule) e dirette a garantire una corretta informazione per gli investitori, a limitare i potenziali conflitti di interesse tra le parti e a realizzare un’adeguata profilatura del risparmiatore. Le imprese di investimento sono pertanto chiamate non solo a specificare ai clienti se la consulenza è prestata su base indipendente o meno; ma anche a chiarire se la consulenza è basata su un’analisi del mercato ampia o più ristretta delle varie tipologie di strumenti finanziari e se l’impresa fornirà ai clienti la valutazione periodica dell’adeguatezza degli strumenti finanziari raccomandati.
  • Alla base del servizio di consulenza rimane la tutela dell’investitore, attuata tramite la valutazione di adeguatezza. Tale valutazione si basa sulla raccolta di una serie di informazioni sul cliente: le sue conoscenze ed esperienze in materia di investimenti riguardo allo specifico tipo di prodotto o servizio; la sua situazione finanziaria, tra cui la capacità di sostenere eventuali perdite; i suoi obiettivi di investimento, inclusa la tolleranza al rischio.

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