Gestori attivi per vocazione

E’ partito il roadshow interno per i dipendenti di Allianz Global Investors, rivolto a più di 2mila dipendenti in 14 città in tutto il mondo per diffondere la nuova value proposition aziendale e “active is”, la nuova idea di brand, incentrata su “active investing”. (Si veda qui la notizia). Di seguito riportiamo l’intervista  ad Alberto D’Avenia (nella foto), country head & head of business development della società, pubblicata sul numero di maggio del mensile ASSET CLASS.

 Alberto D’Avenia, 52 anni, di nascita palermitano doc ma milanese d’adozione, lavora nel settore del risparmio dagli anni ‘90 del secolo scorso. Ha iniziato come promotore finanziario e, in circa 25 anni di carriera, ha visto da vicino tutte le componenti della filiera dell’industria dei servizi d’investimento: i clienti che acquistano i prodotti, i distributori che li collocano e le società di gestione che li fabbricano. Nella sua carica attuale di country head & head of business development Southern Europe di Allianz Global Investors, D’Avenia possiede dunque l’esperienza giusta per fare previsioni
sul futuro dell’asset management e per delineare, dopo circa un quarto di secolo di professione, gli scenari che si pro lano all’orizzonte in un settore che sta vivendo una stagione di grande cambiamento. “Fra qualche anno, probabilmente già nell’arco del prossimo decennio”, dice, “ci sarà sul mercato un processo di grande concentrazione
e sopravviverà soltanto il 20%-30% dei gestori attivi che esistono attualmente.
Saranno i gestori capaci davvero di generare alpha per la clientela, cioè un consistente extra rendimento rispetto al mercato”. Alla base di questo mutamento del settore del risparmio gestito, c’è un mix di fattori importanti e per certi aspetti dirompenti: l’arrivo della direttiva Mifid 2 in Europa e di normative analoghe in altri continenti e l’avvento dei prodotti passivi come gli Etf (Exchange traded fund). “Di fronte a questo scenario”, dice D’Avenia, “Allianz Global Investors ha fatto una scelta precisa: conservare la sua natura di gestore attivo seguendo il posizionamento del brand: Active is”.

Dunque, a differenza di alcuni vostri concorrenti, i prodotti passivi come gli Etf non vi interessano?

Ovviamente non abbiamo nulla contro questi strumenti, ma la nostra vocazione ci spinge in altre direzioni.
Gli Etf sono ricercati da un pubblico di investitori che sceglie i prodotti finanziari guardando in primis al livello dei costi e accontentandosi del beta, cioè di seguire il mercato senza il valore aggiunto dato dalla professionalità di un gestore. Mi preme precisare, però, che l’essere asset manager attivi non può e non deve tradursi in un semplice slogan. Alla base di questa scelta, ci devono essere alcuni aspetti quali canti.

Quali sono, nel vostro caso?

Il nostro gruppo si distingue innanzitutto per l’impegno che mette nella attività di ricerca interna. Su questo fronte, abbiamo strutture d’eccellenza come Grassroots Research, un centro che si avvale dell’operato di circa 600 professionalità, non soltanto di analisti finanziari ma anche di esperti di varie industrie, giornalisti di riviste specializzate che svolgono moltissime indagini aziendali e di settore.

Si tratta dunque di una ricerca sul campo…

Esatto. Le racconto un aneddoto
che spiega le ragioni della nascita di Grassroots. Negli anni ‘80 del secolo scorso, la casa di videogame Atari lanciò un nuovo gioco ispirato al popolarissimo lm E.T. Fu un op clamoroso e fu un duro colpo anche per il titolo della controllante di Atari, il gruppo Warner.
Si narra che il figlio di un nostro gestore statunitense, rivolgendosi al padre disse: “se avessi chiesto a me un parere, avresti saputo subito che il videogioco era inevitabilmente destinato al fallimento perché l’ho provato ed è davvero brutto”. È un semplice episodio ma fa ben capire cosa ci ha spinto a puntare sulla ricerca d’eccellenza, basata sull’analisi dei fondamentali dei titoli e su indagini sul campo, non soltanto su report astratti che arrivano da fonti esterne.

Essere gestori attivi, dunque, significa anche puntare sulla qualità. Ma quali sono le strategie giuste fronteggiare la concorrenza dei prodotti low cost e l’aumento dei costi legato alle normative sempre più complesse?


Io credo che tutta l’industria debba avere la capacità di mettersi in discussione e
di innovare. Lo devono fare non soltanto le società di gestione ma anche i nostri partner distributivi, a cominciare dalle grandi reti di consulenza finanziaria.
 Noi, per parte nostra, non abbiamo
mai avuto paura di innovare anche sul fronte della struttura dei costi. Faccio
un esempio: come comunicato già dal settembre scorso dal nostro ceo Andreas Utermann in un’intervista al Financial Times, abbiamo creato la prima gamma di fondi con una commissione di gestione di base molto bassa, attorno allo 0,2-0,3%, in linea con quelle degli Etf. A questa
si aggiunge poi una fee di performance del 20-30% sulla parte di rendimento
che i fondi riescono a ottenere sopra
il benchmark, cioè il loro parametro
di riferimento. I primi prodotti con tale struttura di costi sono stati lanciati sul mercato anglosassone ma probabilmente troveranno spazio anche in altri paesi.

Su quali prodotti e strategie avete intenzione di puntare maggiormente nei prossimi mesi e anni?


Siamo impegnati su diversi fronti. Innanzitutto, la nostra proposta riserva un ampio spazio ai prodotti multi asset che sono particolarmente indicati per la costruzione di un portafoglio equilibrato nello scenario attuale dei tassi d’interesse e dei mercati finanziari. Inoltre puntiamo anche su gestioni alternative: quelle classificate come liquide e adatte anche ai portafogli più piccoli, oltre a quelle che vengono solitamente definite illiquide, con un’espressione non proprio bellissima. Mi riferisco per esempio ai fondi di private debt o ai prodotti finanziari che investono nelle infrastrutture e dunque nell’economia reale. Si tratta di soluzioni per loro natura adatte ai portafogli
di grandi dimensioni o agli investitori istituzionali. Anche su questo fronte, la nostra offerta è molto ampia perché nel nostro dna ci sono tre caratteristiche: l’essere gestori attivi, fondamentali e diversificati.

 

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