Risparmio gestito, fondi alla resa dei costi

questo articolo è uscito sul numero di febbraio del mensile ASSET CLASS

Tempesta perfetta. Il 2018 per l’industria del risparmio gestito ha rappresentato gli estratti conto 2018 delle gestioni, in cui per la prima volta saranno espressi chiaramente i costi complessivi pagati dai clienti per la consulenza e gli investimenti.

 

Risparmio gestito: costi fuori misura

Numeri che si dovranno necessariamente confrontare con rendimenti quasi sicuramente negativi, o comunque insufficienti. Il rischio è che tali costi possano essere considerati fuori misura sia in assoluto, sia se comparati con quelli riscontrabili in altri paesi europei. Perché, se il patrimonio in gestione è diminuito, le commissioni sui fondi non hanno seguito il medesimo trend. Anzi. Lo spiega chiaramente una ricerca pubblicata nelle scorse settimane dall’Esma, l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (l’organismo comunitario che ha il ruolo di migliorare la tutela degli investitori e promuovere mercati finanziari stabili e ordinati). Si tratta di un rapporto denso di numeri e confronti, da cui l’industria veramente una concatenazione di eventi negativi. Dal sell off su tutte le asset class dei mercati finanziari nell’ultimo trimestre dell’anno all’avvio della regolamentazione nota come Mifid 2 che ha già messo (e continuerà a mettere) sotto pressione le principali società e reti di distribuzione del settore, per finire con le difficoltà di trovare rendimenti in un contesto economico di tassi ai minimi storici.

 

Risparmio gestito: fondi aperti e raccolta

ll risultato, per i fondi aperti, è quello di un anno chiuso con una raccolta netta praticamente nulla (+71 milioni di euro per i fondi aperti, con deflussi per quasi 4 miliardi di euro negli ultimi due mesi dell’anno) e un ridimensionamento del patrimonio gestito a 950 miliardi. Un anno prima la raccolta era stata positiva per circa 77 miliardi e il patrimonio in gestione aveva superatoi 1.000 miliardi di euro. In tutto questo, a breve, inizieranno ad arrivare ai clienti gli estratti conto 2018 delle gestioni, in cui per la prima volta saranno espressi chiaramente i costi complessivi pagati dai clienti per la consulenza e gli investimenti.

 

Risparmio gestito in Italia: il confronto internazionale

Numeri che si dovranno necessariamente confrontare con rendimenti quasi sicuramente negativi, o comunque insufficienti. Il rischio è che tali costi possano essere considerati fuori misura sia in assoluto, sia se comparati con quelli riscontrabili in altri paesi europei. Perché, se il patrimonio in gestione è diminuito, le commissioni sui fondi non hanno seguito il medesimo trend. Anzi. Lo spiega chiaramente una ricerca pubblicata nelle scorse settimane dall’Esma, l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (l’organismo comunitario che ha il ruolo di migliorare la tutela degli investitori e promuovere mercati finanziari stabili e ordinati). Si tratta di un rapporto denso di numeri e confronti, da cui l’industria italiana del risparmio gestito esce come quella più esosa e al tempo stesso poco redditizia. Anche se occorre notare come la composizione dei portafogli medi, molto differente tra Italia e altri paesi dell’Unione europea, giochi comunque un ruolo importante. L’Italia è infatti il Paese in cui la componente azionaria è la più contenuta dell’Ue (seguita da Portogallo, Spagna e Austria), mentre hanno una quota preponderante, pari a quasi l’80% del portafoglio, gli investimenti “mixed” (cioè i fondi multi asset o bilanciati) e quelli obbligazionari puri. Questo differente mix ha avuto ovviamente un impatto significativo in termini di performance di portafoglio, alla luce della profonda dispersione dei rendimenti. Nel 2017, a livello retail, le performance medie del comparto azionario sono state del 16%, quelle dei “mixed fund” del 6% e quelle degli obbligazionari solo del 2%.

 

Risparmio gestito: i fondi azionari più costosi 

Se tuttavia allarghiamo l’orizzonte temporale a 10 anni (dal 2008 al 2017), registriamo rendimenti più vicini, ma in ogni caso ancora favorevoli all’equity(+7,3% in media) rispetto a obbligazionari (+5,3%) e mixed (+4,6%). In tutto questo, però, non si è rilevata una modifica del profilo commissionale dei fondi, rimasto sostanzialmente stabile tra le varie asset class. I costi mediamente sono risultati più elevati per i fondi azionari (2% circa) rispetto a bilanciati (1,8%) e obbligazionari (1,4%), ma una seconda profonda differenza corre tra strumenti destinati al pubblico retaile quelli per istituzionali. A fronte infatti di un 1,4% addebitato agli investitori privati, gli operatori istituzionali spuntano infatti commissioni pari a uno 0,5% in campo obbligazionario e all’1,5% circa in campo azionario (contro il quasi 2% delle classi retail). L’Esma, nel caso italiano, cita poi gli studi condotti da Banca d’Italia e Consobsul tema, che già avevano evidenziato una struttura di costi non decrescente pur in presenza di performance discendenti, a tutto detrimento dei risultati netti per la clientela. Le motivazioni? Un quadro normativo più stringente rispetto a quello di altri Paesi, un differente mix di portafoglio (più sbilanciato su fondi bilanciati e obbligazionari), un canale distributivo che assorbe il 70% dei costi considerati. Il risultato di tutto questo? Un fortissimo impatto dei costi sui rendimenti effettivi dei fondi destinati alla clientela retail. Vediamo in dettaglio la situazione. Nel comparto azionario sui tre anni la differenza tra performance lorda (10,15%) e netta (7,82%) ha significato costi complessivi (ingresso, gestione e uscita) pari al 23% circa, un dato che cresce al 24% sui sette anni (9,64% il rendimento lordo e 7,3% quello netto) e addirittura al 37% se allarghiamo l’orizzonte temporale a 10 anni (6,1% il rendimento lordo e 3,84% quello netto). Per quanto riguarda il comparto obbligazionario, la compressione dei rendimenti del settore dovuto alle manovre quantitative delle banche centrali ha reso la situazione ancora più complicata e costosa negli ultimi anni.

Se infatti sui 10 anni il costo medio ha inciso per il 33% (3,52% il rendimento lordo medio e 2,34% quello netto) e per il 33,5% circa sui sette anni (3,37% il rendimento lordo medio e 2,14% quello netto), lo scenariosi fa drammatico guardando all’impatto nell’ultimo triennio di studio (fino cioè al 2017): 2,64% la performance lorda e 1,33% quella netta, con la struttura commissionale che ha pesato per l’1,31%, vale a dire il 49,6% del risultato lordo. Infine il comparto dei fondi bilanciati, che subisce il peso sempre maggiore dei costi del comparto obbligazionario ma senza riuscire a compensarlo con i risultati dell’equity: e così sui 10 anni il peso commissionale ha inciso per il 44% (3,89% il rendimento lordo medio e 2,17% quello netto), che scende al 36% sui sette anni (4,96% il rendimento lordo medio e 3,17% quello netto) per impennarsi bruscamente negli ultimi tre anni con un’incidenza dei costi di quasi il 55% (3,55% il rendimento lordo medio e 1,61% quello netto). Numeri che contrastano decisamente con i dati medi rilevati a livello europeo, dove sui fondi azionari i costi pesano al massimo per il 27% delle performance lorde (subun orizzonte di 10 anni), per il 33,3% sui fondi obbligazionari (a tre anni) e infine al 39,4% sui multi asset (a 10 anni). Uno scenario quindi decisamente sfidante per tutti gli attori in gioco.

 

Risparmio gestito: i rendimenti 

L’industria del risparmio gestito deve infatti arrivare a costruire prodotti assolutamente performanti e allo stesso tempo la distribuzione deve poter essere in grado di gestire strumenti finanziari in maniera efficiente sul versante dei costi. E soprattutto il cliente finale deve essere consapevole che il profilo rendimento/ rischio dei propri investimenti dipende da un altro fattore non trascurabile:il livello dei costi non sempre presi in considerazione con la dovuta attenzione e che invece andrebbero annoverati all’interno delle proprie decisioni d’investimento.

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