- Governance. Si va dalle operazioni di potentati che si fanno beffe delle norme sull’OPA alle partecipazioni incrociate di Mediobanca, Generali, UniCredit, Intesa, scalata Antonveneta.
- Stabilità. Nonostante le rassicurazioni sappiamo tutti che le maggiori banche del paese sono ufficialmente da settembre 2008 nei guai anche se i manager che le hanno condotte hanno incassato e incassano, senza alcun pudore, centinaia di milioni di compensi e stock options. E questa è la situazione attuale mentre sino a ieri con incorporazioni e fusioni si sono annegate le situazioni di crisi dentro contenitori bancari sempre più grandi seguendo il verbo delle concentrazioni; proprio come si è abituati a versare i rifiuti in mare.
- Trasparenza. I bilanci falsi sono diventati una moda: senza scomodare i casi Cirio e Parmalat, basta verificare quanti sono i manager indagati e condannati per aver addomesticato risultati e notizie.
- Correttezza. I prodotti e servizi finanziari non vengono realizzati per la soddisfazione del cliente o per la performance, ma solo per massimizzare l’utile in tempi più brevi possibili: i derivati OTC spacciati a enti, aziende e anche a privati come se fossero assicurazioni sui tassi o investimenti, prodotti complessi collocati indipendentemente dalle esigenze dei clienti, reti distributive che vendono solo polizze unit o index (e non i sottostanti) solo per elevare i margini.
- E molto altro. Conflitti di interesse, incapacità tecnica, desolante assenza di cultura finanziaria in capo agli operatori.
Consob ha delle responsabilità anche maggiori atteso che dovrebbe occuparsi della vigilanza sui comportamenti e non è semplicemente in grado di farlo: già è ridicolo pensare che una struttura modesta come la Commissione sia in grado di tenere sotto controllo l’operatività di entità enormi come le grandi banche nazionali ed internazionali. Ma se questo è il risultato dell’attività di vigilanza che dire dell’uso che è stato fatto della potestà regolamentare: il potere di scrivere regole di dettaglio per la disciplina del mercato è stato esercitato in modo subordinato agli interessi dell’industria in armonia con l’identica vibrazione della normativa comunitaria. Non è un giudizio affrettato: chiunque esamini l’evoluzione dei regolamenti Consob in materia di attività degli intermediari scoprirà che nell’arco di appena 16 anni dall’originario 5833/91 all’8850/94 passando per l’11522/98 e arrivando al 16190/07 i clienti hanno perso gran parte dei diritti. Il tutto in un settore in cui la complessità degli strumenti e la capacità commerciale dell’industria sono aumentati in modo esponenziale. Leggendo le produzioni regolamentari delle autorità si scopre l’uso di un linguaggio ridondante e di concetti vaghi che generano incertezza e ampliano la discrezionalità interpretativa ed applicativa di chi le ha emanate. Ma le norme non dovrebbero essere semplici e chiare? L’unica funzione che le autorità riescono a svolgere egregiamente è quella di indirizzo attraverso lo strumento opaco della “moral suasion” che si presta, peraltro, più a governare i rapporti di forza che a tenere pulito il mercato. Il che è molto italiano.
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