Da promotore a consulente. E se fosse un'ingenuità?

Il promotore in pensione I.P., autore dell’articolo Storia di un promotore che credeva alle favole, è solo uno dei tanti casi di professionisti che inseguono un’ambizione. Anche NER, il lettore di cui oggi pubblichiamo la storia, racconta a Bluerating.com un’esperienza di sogni, delusioni e nuove sfide.

DA PROMOTORE A CONSULENTE. SPERANDO DI NON COMMETTERE UN’INGENUITA’
Come I.P., appartengo a quella classe di ingenui fuoriusciti dal ventre di mamma Banca alla conquista di un mondo migliore. Uscii dalla porta principale senza accorgermi che ero rientrato dalla finestra e senza più tutti quei plus dello status che avevo deciso abbandonare. Ma, ecco, seppure schematicamente, la mia storia.

Ho 55 anni e la mia avventura professionale inizia in banca nel 1975. Molto portato al rapporto consulenziale col cliente, nel 1986 lascio la banca e il posto fisso ben retribuito. Con il decollo dei fondi comuni d’investimento avvenuto nei primi anni 80 credevo, molto ingenuamente, che il mercato del risparmio fosse già maturo per recepire la figura del consulente finanziario.

Il sistema bancario, che più appropriatamente chiamerò “potere bancario“, agli inizi snobbò il debutto di tali strumenti convinto com’era, nella sua presunzione, che avrebbero avuto uno scarso successo. Ma dovette ricredersi molto in fretta se già alla fine degli anni 90 tutte le Società di Gestione del Risparmio erano di matrice bancaria.

Nel 1991, infatti, avendo capito il business che si sarebbe realizzato negli anni a venire, portando uno sconvolgimento nel settore bancario al pari di nessun altro settore lavorativo, il “potere bancario” colse la palla al volo e con l’entrata in vigore della prima legge che regolamentava il mercato finanziario italiano impose il declassamento della, allora acerba, figura del consulente finanziario a promotore finanziario, per di più obbligandolo al monomandato, ossia legato ad un unico committente.

In un mercato finanziario che si andava lentamente avviando dall’amministrazione statica e poco remunerativa dei risparmi, alla loro gestione dinamica e molto remunerativa, il “potere bancario” brindò al risultato ottenuto: l’accalappiamento di professionalità esterne pagate a provvigioni, e quindi non gravanti sui costi fissi del accalappiamento, ma obbligate ugualmente a vendere esclusivamente la sua merce.

Ci si ritrovò così a venditori di prodotti finanziari per conto del “potere bancario” e guai a parlare di consulenza finanziaria col cliente, pena la radiazione dall’albo dei promotori finanziari. Insomma, furono buttate le basi per un gigantesco conflitto d’interesse che ha prodotto in tutti questi anni i più grandi scandali finanziari in danno proprio della parte più debole e indifesa del mercato.

In verità, la consulenza, nel 1993, a seguito di ricorsi a livello europeo, dovette essere riammessa, ma per neutralizzarla il “potere bancario” pensò bene di farla classificare come attività accessoria non regolamentata. In pratica, tale attività la poteva esercitare chiunque, dal panettiere all’idraulico, l’importante era emarginarla svuotandola di prestigio e contenuto professionale.

Per stringere, si è dovuto aspettare la MIFID per vedere finalmente istituzionalizzata la figura del consulente finanziario indipendente. Dal momento che tale figura è vista da sempre dal “potere bancario” come fumo negli occhi, sono occorsi altri due anni per recepirla, dopo vari tentativi di sabotaggio e rinvii.

Vero è che anche la data del 30 giugno 2009, scadenza entro la quale doveva essere istituito l’Albo dei Consulenti Finanziari Indipendenti, per oscuri motivi e pastoie burocratiche vedrà l’ennesimo rinvio affinchè finalmente questa attività sia giuridicamente e professionalmente esercitabile.

In tutti questi anni, dal 1986 ad oggi, ho lavorato per diversi gruppi appartenenti al “potere bancario”, ma la musica era sostanzialmente la stessa: vendere ciò che ad esso interessava vendere e che spesso, anzi quasi mai, coincideva con l’interesse del risparmiatore. Non rispettare gli ordini di scuderia, dissimulati sotto l’algida e intimidatoria divinità del “budget”, portava a fini e persuasivi condizionamenti che rendevano l’attività molto difficile e precaria.

Cercare di non bidonare il cliente, tutelandolo per quanto più possibile, costringeva a modesti guadagni spesso pari o inferiori allo stipendio del collega bancario. E per guadagnare anche solo quel minimo che l’esercizio della professione esigeva si era spesso obbligati a cercare un compromesso con gli scrupoli morali e professionali.

Confido, ma spero di non commettere la seconda grande ingenuità della mia vita professionale, che attraverso la consulenza finanziaria indipendente, non dovendo vendere nulla, alla stregua di un qualsiasi altro libero professionista, sia possibile assistere il risparmiatore proteggendolo dal “potere bancario”, costringendo quest’ultimo ad un rapporto realmente trasparente e rispettoso. Una consulenza pura e disinteressata, scevra da conflitti d’interesse, pagata direttamente dal cliente su presentazione di regolare parcella.

NER

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