Occupazione sotto assedio, tra crolli e gabbie salariali

L’economia è ripartita, si dice. Qualcosa però non deve tornare dato che, secondo i dati diffusi ieri da Eurostat, il tasso di disoccupazione nell’UE a luglio ha raggiunto il 9,5% in crescita dello 0,1% rispetto a giugno (225.000 posti in meno). Le ipotesi possono essere due: o l’economia è ancora effettivamente in difficoltà oppure c’è qualcuno a cui fa comodo raccontarlo per tagliare i costi. Del personale.

Lasciandoci con un amletico dubbio, rimane da constatare che siamo di fronte al valore più alto dal 1999. Per quel che riguarda il nostro Bel Paese, si può dire che a giugno gli impieghi nelle grandi imprese sono calati del 4,2% su base annua, mentre rispetto a maggio la flessione è stata dello 0,3%, per un livello complessivo di senza lavoro pari al 7,4% (dato riferito a maggio 2009).

Sullo sfondo di questi poco radiosi dati, ecco che gli esponenti del mondo politico si sbranano in cerca della soluzione. Di un altro problema. E’ infatti tornato  d’attualità il termine gabbie salariali, ovvero il sistema di  retribuzioni che si basa su una differenziazione. Con esso esplode anche la polemica poiché, per molti, pare essere una soluzione errata all’interno di un mondo produttivo che è costretto a cambiare alla velocità della luce; per i sostenitori resta però saldo il principio che le retribuzioni vadano allineate all’effettivo costo della vita per evitare di cadere nella superata ipotesi che il salario è una variabile indipendente sia dagli utili della società che dal costo della vita.

Su questa tematica eFinancialCareers ha condotto di recente un sondaggio tra gli operatori del settore finanziario sull’opportunità di una loro introduzione, ricavando che Ii 53% dei professionisti del settore finanziario considera questa mossa totalmente sbagliata, in quanto punirebbe le aree non sviluppate. Per il 13% dei rispondenti sarebbe inutile poichè tale provvedimento rischierebbe di aumentare la recessione, mentre per l’11% dei partecipanti al sondaggio potrebbe essere utile come stimolo di sviluppo. Solo il restante 22% considererebbe questa soluzione come positiva in quanto portatrice di una situazione di maggiore equità.

Insomma, tra dati sondaggi e malumori una cosa sembra ormai chiara, il mondo del lavoro è sempre più paragonabile al mondo dei concorsi a premi; un montepremi ricco a pochi eletti e un mare di scontenti. Che puntualmente, inseguendo un sogno e per necessità, si ripresentano alla ricevitoria.

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