Parola d'ordine: chiudere i derivati

Le bombe innescate prima o poi, si sa, esplodono. E’ solo una questione di tempo. Non si sa il quando ma se ne conoscono gli effetti, e questo, tutto sommato, potrebbe rappresentare un vantaggio. Sono fermamente convinto che se offrissimo a Micheal Moore qualche elemento per fargli capire come si è evoluta la “finanza creativa” (che qualcuno si ostina ancora a chiamare “innovativa”) nella Pubblica Amministrazione in Italia, ne vedremo davvero delle belle. E non ci divertiremmo poi così tanto. Chi come me ha specializzato la propria attività nella finanza complessa e affianca gli Enti Pubblici e le Aziende individuando le modalità di exit strategy dagli swap vendutigli, può dirlo bene. E ormai sono in molti a riconoscerlo. Persino le Istituzioni, tranne quella centrale, che per motivi di peso arriva sempre tardi, un po’ come gli elefanti nella giungla che ogni tanto si attardano impantanati in qualche guado troppo profondo, nell’attesa che l’acqua diminuisca per effetto dell’evaporazione al sole. Quando questo non accade, anzi, quando il letto s’ingrossa, si riesce ad emergere con immenso sforzo che lascia sempre provati e un po’ più poveri, fosse altro di energie. Ma non è questo il nostro caso. Qui si parla di soldi. Di quelli nostri, della collettività insomma. Avete presente? Da quasi vent’anni, fin dall’Ordinamento delle Autonomie Locali del 1990, nella Pubblica Amministrazione spirano venti finanziari alla ricerca del “nuovo”, con una strizzatina d’occhio a quello che definisco federalismo finanziario. Intervento perfettamente riuscito, ma abbiamo perso il paziente. Un’infezione senza precedenti in un organismo completamente privo di anticorpi: i derivati. Non eravamo, e non siamo, vaccinati per rispondere adeguatamente a questa, sì “nuova”, situazione. In un mercato, se uno guadagna qualcun altro perde. Si chiama incontro della domanda e dell’offerta. Il fatto è che chi ci rimette sono sempre i soliti, ergo, quelli che ci guadagnano sono sempre i soliti. E con i derivati è andata proprio così. Purtroppo giocando spesso una partita su un terreno troppo grande e troppo “pesante”, come si dice in gergo sportivo, dove solo una delle squadre si era preparata, con regole da lei scritte e con un arbitro distrattamente simile a Byron Moreno (ve lo ricordate?).

A proposito di ricordi. Qualcuno sa che fine ha fatto l’indagine parlamentare del 2004 sui derivati? A fine 2006, primi 2007, in periodi non sospetti, i pochi e preparati consulenti finanziari indipendenti hanno segnalato il potenziale grave danno, che si è poi concretizzato, di quanto sarebbe accaduto per l’effetto dell’aumento dei tassi. A più riprese sono stati lanciati degli “alert” sulla questione, a tutti i livelli, denunciando la gravità della situazione. Dapprima snobbati poi presi, in ritardo, in grande considerazione per il servizio che stavano rendendo, alcuni di questi professionisti, attraverso le associazioni che li rappresentano, sono stati convocati in audizione dal Senato denunciando e rilevando, in forma pubblica, quella che va considerata come la più devastante operazione finanziaria su vasta scala perpetrata a carico della Pubblica Amministrazione. In primissima linea la magistratura contabile, particolarmente attenta e vigile, ha accolto, facendole proprie, le denunce dei Consulenti che in molti casi, hanno evitato danni peggiori alle finanze delle economie locali. A dicembre 2008 avevamo segnalato l’opportunità, purchè adeguatamente assistiti, di uscire dai contratti derivati secondo una adeguata valutazione del rischio e con una corretta strategia. Pochi, lungimiranti, Enti hanno deciso di affidarsi a professionisti del settore. Gli altri se ne sono accorti troppo tardi. Quando dalla metà-fine gennaio i tassi (decennali) sono tornati a crescere e a far peggiorare i Mark to Market. Se questa situazione ha creato una emorragia alle casse dello Stato, che prima o poi dovrà recuperare, e sappiamo come, è pur vero che l’effetto boomerang nei confronti dei collocatori di questi prodotti non si è fatto attendere. Con l’obiettivo di evitare, o meglio limitare, danni di immagine e reputazionali in conseguenza anche dell’attività giudiziale posta in essere a carico delle banche da parte degli Enti, ma anche delle migliaia di aziende strozzate da questi prodotti, si sta facendo largo la strada della estinzione anticipata dei contratti. Dapprima cercata dagli “investitori”, ma spesso non concessa dalle banche, ora proposta dagli stessi intermediari. Con la fretta tipica delle lepri. E’ necessario togliersi il rischio di dosso. Ma a quali condizioni? Quelle che stabilisce la banca? E ricomincia il walzer nel confronto tra Enti, che di derivati continuano a saperne come prima, ma permangono dell’idea che le banche siano delle Onlus, e dall’altra parte, invece, qualcuno che continua a sfregarsi le mani. Vogliamo testare i livelli di stupidità, secondo la definizione di Carlo Cipolla, nella Pubblica Amministrazione o, questa volta, ci mettiamo a tavolino con dei professionisti che studiano l’exit strategy? Sì perché si sta presentando un’altra, breve, finestra temporale per uscire definitivamente da questa brutta faccenda. I tassi di lungo, dopo la loro impennata, sono tornati a scendere seppur non ai livelli di gennaio. Ma attenzione: la curva dei tassi vede già la sua inclinazione positiva e questo significa solo una cosa: un nuovo atteso aumento dei tassi. Intanto lo Stato tace. E noi, consulenti, gli risolviamo le grane. Alzi la mano chi vuole perdere anche questa occasione!

di Marco Ortica, fee only financial planner e membro Nafop.

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