Chiamata alle armi per la banca

La crisi dal punto di vista degli operatori finanziari inizia probabilmente il 9 agosto del 2007, quando la Banca Centrale Europea distribuisce 94,8 miliardi di Euro per cercare di stabilizzare i mercati scossi dalla grave mancanza di liquidità dovuta ai mutui subprime. I clienti delle banche ricordano con più frequenza il 14 settembre 2007, quando in migliaia accorsero agli sportelli della Northern Rock per paura di non riuscire a rivedere il loro denaro. Quel giorno si materializzò nella mente dei clienti la mancanza di fiducia nei confronti delle banche. Una sfiducia culminata nel settembre 2008, quando il fallimento di Lehman Brothers segna l’inizio della più grande crisi dal ‘29.
Ad un anno di distanza gli istituti finanziari operano ancora nella costante incertezza rispetto all’andamento dell’industria, del comportamento della clientela e quindi del proprio business.
Il nuovo scenario
Innanzitutto è chiaro che il modello di business delle banche è ancora sotto stress sia sul fronte degli impieghi che della raccolta. In base al bollettino economico di ottobre di Banca d’Italia risulta che i margini delle banche sono messi a rischio dal rallentamento dei finanziamenti ai privati diminuiti al 2,2% (nel 2007 e nella prima metà 2008 la crescita era superiore al 10%). Ciò è da ricondursi agli effetti della congiuntura economica sulla domanda ma anche alle condizioni di offerta di questi prodotti, che rimangono restrittive.
Oltre ai finanziamenti, anche la crescita della raccolta è rallentata e tuttora risente del basso livello dei tassi di interesse. Ad agosto 2009 il tasso di crescita sui 12 mesi era pari al 1,1%, diminuito sostanzialmente rispetto agli anni precedenti, quando si attestò al 4,7% nel 2008 e all’11,0% nel 2007.
Allo stesso modo le attività dei fondi e degli operatori di private banking hanno subito una grave fase di arresto durante la crisi finanziaria. La raccolta dei fondi ha subito una contrazione continua per tre anni, fino a giugno 2009; allo stesso modo la raccolta del private banking nel 2008 è scesa di oltre il 10%.
L’industria globale dell’investment banking ha subìto addirittura una rivoluzione strutturale. Lo scenario oggi è cambiato completamente rispetto a quello pre-crisi, con tre delle cinque grandi banche di investimento americane che non esistono più (Lehman Brothers, Merrill Lynch e Bear Stearns) e Goldman Sachs e Morgan Stanley obbligate dalla Fed a diventare holding bancarie definendo quindi la fine del modello dell’investment banking puro.
Il business di questi operatori è tuttavia ancora sotto pressione, anche a causa della drastica riduzione dell’attività di trasformazione dei prodotti caratteristici del lending in prodotti strutturati.
Gli effetti della crisi si uniscono a un sostanziale mutamento e inasprimento della pressione competitiva.
Diversi sono gli accadimenti che hanno cambiato non solo gli equilibri dell’arena competitiva ma la sua stessa composizione.
Innanzitutto l’industria finanziaria negli ultimi due anni è stata caratterizzata, sia a livello italiano che internazionale, dal ricorso ad operazioni di M&A che hanno portato ad un’accelerazione della sua concentrazione. Si possono identificare nel mercato alcuni player che stanno rafforzando la loro posizione competitiva (come ad esempio Deutsche Bank con l’acquisizione di Sal. Oppenheim), altri che sono portati alla vendita di attività non strategiche per recuperare liquidità e/o ottemperare a decisioni esterne (è il caso delle attività assicurative per ING) ed altri ancora che si ritirano dal mercato (Citibank si ritira dal private banking in Italia e dal retail banking in Germania).
Se da un lato si assiste a cambiamenti nella costellazione interna, dall’altro lato emerge come le barriere competitive si siano spostate. Questo è dovuto senza dubbio all’ingresso e all’offerta di servizi finanziari da parte di aziende di altri settori quali quelli industriali, i produttori e i distributori di beni di consumo (specialmente high-tech e GDO) ed i provider alternativi (Paypal, Telco, ecc…). Inoltre, si è verificato il progressivo ampliamento e una convergenza dell’offerta degli operatori finanziari (banche online, banche straniere, compagnie assicurative, operatori finanziari specializzati, consulenza indipendente ed altri fornitori di servizi).

Modelli di business
alla ribalta
Uno degli ingressi più interessanti nel mercato dei servizi bancari è stato quello degli operatori postali, i quali si stanno confermando come modello di successo sia in Italia che all’estero.
Il modello di Poste Italiane si basa su due elementi chiari: l’accessibilità, ineguagliabile per qualsiasi banca in termini di sportelli e presenza sul territorio e il prezzo estremamente conveniente. Inoltre le poste hanno riscosso un ottimo riscontro da parte di alcuni segmenti di mercato, quali gli anziani e i giovani (in particolare per la Poste Pay, la carta prepagata più diffusa e imitatissima).
Un altro trend piuttosto rilevante emerso a seguito della crisi è quello della banca territoriale. Ne è un esempio la Banca del Sud, istituto di credito voluto dal Governo con il chiaro obiettivo di fornire un supporto alle imprese attraverso la canalizzazione della raccolta su progetti locali.
Un altro esempio interessante è quello delle Banche di Credito Cooperativo, che sono riuscite a definire un rapporto di vera mutualità con le comunità locali, anche grazie allo sviluppo di efficaci meccanismi di autoregolamentazione, all’educazione finanziaria e a politiche di sviluppo più sostenibili.
All’interno di questo scenario il comportamento della clientela è caratterizzato da forte sfiducia, incertezza e da una crescente richiesta di autonomia. Il mondo delle imprese e in particolare quello delle banche è caratterizzato da una crisi di immagine.
Secondo l’Edelman Trust Barometer la fiducia nei confronti delle società in Italia è diminuita dal 41% dello scorso anno al 27%. L’industria bancaria a livello globale risente di un forte calo dal 56% al 45%, mentre per l’Italia la situazione è ai minimi storici (21%).
Di fronte al crollo dei grandi colossi della finanza una parte dei clienti sfiduciati è tornata quindi a cercare la realtà piccola, legata al territorio ed alle sue esigenze.
Emerge però anche un altro segmento di clientela che reagisce in maniera differente, ovvero che spinto dalla sfiducia nelle banche decide di “fare da sé”.
Negli ultimi anni l’adozione delle nuove tecnologie sta incrementando l’autonomia del cliente nei processi di acquisto e di consumo dei prodotti finanziari, aumentando il rischio di disintermediazione. La sfida per le banche qui è recuperare credibilità, ma anche la consapevolezza che la pressione competitiva non arriva solo dalla concorrenza tradizionale, ma anche dai clienti stessi attraverso la crescente canalizzazione e scambio del loro sapere finanziario nell’ambito di blog, forum e financial community.
In questo contesto quindi le banche sono costrette a rivedere il proprio modello. In molti nei mesi scorsi hanno pronosticato una revisione in chiave tradizionale, un “tornare all’antico”.
In realtà il sistema deve “andare avanti”, realizzando una profonda innovazione del modo di fare banca. Se è vero che i ricavi derivanti da asset & liability management sono diminuiti drasticamente, la componente commerciale del business – conti, carte e probabilmente anche finanziamenti a breve – continuerà ad essere una base fondamentale di redditività.
E’ necessario quindi che le banche puntino sulla professionalizzazione ed ottimizzazione del core business.
Diverse sono le linee d’intervento.

Linee di intervento:
la Trasparenza
Nell’attuale contesto i clienti e le autorità, che da tempo lamentano la mancanza di trasparenza sulle caratteristiche (ed i rischi) dei prodotti ed i relativi prezzi di vendita, non potranno che aumentare la propria accusa ed insoddisfazione. Anche a seguito del provvedimento della Banca d’Italia dello scorso 29 luglio, è ormai imprescindibile per le banche investire in trasparenza e semplicità dell’offerta.
Il punto cruciale è però declinare questi interventi in modo che diventino dei generatori di valore e fiducia per il cliente, evitando tuttavia il rischio di una generale comparabilità delle offerte, oggi sempre più a rischio di commoditization.

l’Immagine
L’immagine “cara” delle banche deriva in parte da analisi e confronti dei costi bancari di listino.
Ma la maggior parte dei clienti non paga il prezzo di listino: il fenomeno delle deroghe è diffusissimo in tutte le banche e generalmente mostra forti carenze a livello sia processuale sia sostanziale.
Gli istituti devono quindi professionalizzare la gestione degli sconti, ma allo stesso modo investire nell’immagine di prezzo, diminuendo ad esempio quei prezzi di listino che possono discostarsi dai prezzi medi reali anche del 50%.

il Pricing
Un’opportunità interessante per le banche di innovare il proprio modello di pricing deriva dall’obbligo di trasparenza decretata dai cambiamenti legislativi in atto e in particolare dalla MiFID che ha posto le basi per la consulenza a pagamento.
Offrire un servizio di qualità in tale ambito può innanzitutto consentire un recupero della fiducia dei clienti.
In particolare, i segmenti affluent e private sarebbero disposti a pagare per una consulenza finanziaria estesa se effettivamente convinti della sua qualità ed indipendenza. Nell’attuale crisi, quindi, la consulenza a pagamento può rappresentare un momento di rottura con il passato, un momento in cui s’inizia a comunicare in maniera più diretta e trasparente l’utilità, ma anche il costo, di tale servizio.
Un esempio interessante è quello di Quirin Bank, operatore tedesco del private banking, che ha incentrato non solo il pricing, ma tutto il suo modello di business sulla consulenza a pagamento.
La differenziazione di Quirin Bank avviene tramite una comunicazione chiara ed immediata della particolarità della propria value proposition, l’offerta di un nuovo modello di business che si traduce in una tariffazione al cliente di un fisso mensile più una provvigione sul net profit o sul volume del portfolio e l’eliminazione di commissioni specifiche su prodotti e transazioni.

L’Innovazione
L’offerta delle banche deve essere migliorata attraverso l’integrazione di elementi innovativi che le permettano di potenziare la propria value proposition, differenziandosi dai competitor ed adeguandosi alle mutate esigenze dei clienti.
Per la creazione di prodotti innovativi, i meccanismi psicologici che guidano il comportamento finanziario dei consumatori offrono ampi spazi di manovra e miglioramento rispetto all’offerta attuale.
Inoltre, un assortimento ben strutturato di prodotti accompagnato da un elevato numero di servizi a valore aggiunto (che permettano l’evoluzione dal classico ruolo bancario di gestore a quello di facilitatore del risparmio) può aumentare il rapporto di fiducia con il cliente e creare un effetto di lock-in positivo.
Anche un sistema che consenta la gestione congiunta di offering & pricing permette di garantire una grande libertà di scelta al cliente, senza tuttavia generare eccessiva complessità amministrativa e debolezza reddittuale.
Un caso innovativo in tale senso è quello di Le Crédit Lyonnais con il “Pricing à la carte”. Questo è un configuratore di prodotto che guida il cliente durante il processo di selezione ed acquisto garantendogli ampia libertà di scelta del prodotto e del modello di pricing.

la Focalizzazione
Lo sfruttamento di particalari segmenti/nicchie di mercato può avvenire in modo efficace dotandosi di competenze specifiche.
Per esempio Citibank ha creato il global executive banking, un servizio che soddisfa i bisogni dei manager che devono spostarsi con frequenza da una nazione all’altra per motivi di lavoro e che richiedono una gestione globale, flessibile e personalizzata della liquidità e del patrimonio. Anche lo sviluppo di modelli di filiale innovativi potrebbe risultare una mossa vincente nell’ambito di un nuovo approccio alla relazione con la clientela.
Deutsche Bank, per esempio, ha sviluppato Q110, una filiale dove l’ambiente è completamente destrutturato e caratterizzato dall’assenza delle aree tipiche della banca (cassa, box consulenza).
Attraverso la predisposizione di corner dedicati (caffè, bambini, design, eventi) è stato possibile creare un ambiente in cui l’atmosfera è più personale ed informale.

il Valore
La definizione e lo sviluppo di innovazioni a livello centrale che generano valore per il cliente, non possono essere disgiunte da interventi a livello periferico che garantiscano l’estrazione di tale valore.
Oggi la proposta dei prodotti e l’assegnazione dei relativi prezzi sono estremamente contingente alla trattativa, al cliente ed al gestore che la stanno svolgendo. Questo origina distribuzioni delle offerte e dei prezzi spesso casuali, svincolate da parametri oggettivi e giustificativi del valore e del rischio del cliente. Le banche devono rivedere le proprie strategie e prassi di vendita, imparando a spiegare, molto trasparentemente, che deve essere il principio “do ut des” a guidare la relazione commerciale. Inoltre, è da considerare come le attuali trattative sono nella stragrande maggioranza dei casi dei processi di “price selling”, ovvero delle transazioni in cui il gestore bancario usa quasi esclusivamente il prezzo come argomento di vendita.
E’ necessario che le negoziazioni tornino ad orientarsi al valore che i servizi bancari generano effettivamente per il cliente.
Per fare questo le banche devono spiegare meglio l’utilità e la qualità dei propri servizi, supportando in prima linea i propri gestori con strumenti, processi e argomenti innovativi ed orientati alle necessità del cliente.
In conclusione le banche devono intervenire sulle proprie strategie e politiche di offering, pricing e selling realizzando una profonda innovazione. Questo deve avvenire sia a monte – attraverso una maggior trasparenza, la configurazione di modelli di pricing e di offering innovativi ed orientate alle diverse preferenze dei clienti – sia a valle – migliorando la capacità di realizzazione del valore generato.
Questo richiederà senza dubbio uno sforzo iniziale in termini adozione di un approccio analitico ai dati economici, rinnovamento dei value driver dell’offerta, ottimizzazione dei prezzi (di listino e applicati), formazione e dotazione di strumenti di supporto alla rete.
E’ tuttavia l’unica strada percorribile per uscire da una crisi che non solo è di natura finanziaria e fiduciaria, ma anche di gestione della relazione con la clientela.

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