Consob, corsa contro il tempo per la Mifid 2

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di Francesca Vercesi 9 Marzo 2017 | 11:23
Nella corso di una tavola rotonda, svolta all’interno del Premio Alto Rendimento de Il Sole 24 Ore, il responsabile divisione intermediari della authority Togna ammette ritardi negli adempimenti alla seconda versione della direttiva europea sui servizi d’investimento.

L’arrivo della Mifid 2 dovrebbe mantenere la data del 3 gennaio 2018 ma le direttive sono ancora in via di traduzione. Lo ha detto Tiziana Togna, responsabile divisione intermediari della Consob in occasione del dibattito dal titolo “Tra Mifid 2 e Pir, le due sfide per il risparmio gestito” (nella foto) che si è tenuto prima della cerimonia del Premio Alto Rendimento, giunto alla sua 19a edizione, il riconoscimento attribuito dal Sole 24 Ore alle società di gestione e ai fondi comuni d’investimento che si sono distinti. “La Commissione europea è consapevole che questo sia un dossier su cui non si può immaginare un ulteriore slittamento, posso dire che stiamo lavorando per rispettare i termini ma di certo ci sono dei ritardi”, ha spiegato. E ha aggiunto: «la Mifid 2 non fa una scelta sulla consulenza dipendente o indipendente tout court ma accende i fari sulla dinamica dei costi. E dice soprattutto che la consulenza pagata attraverso le retrocessioni deve innalzare la qualità del servizio. Due nodi importanti sono la product governance e il target market. Quest’ultimo argomento è oggetto di dibattito perché c’è da definire la cosiddetta zona nera, ovvero il target di clienti a cui determinati prodotti non possono essere destinati. Infine c’è da definire meglio il tema della consulenza di portafoglio e gestione individuale: su questo si sono concentrate varie osservazioni”. Commenta Fabrizio Vedana, vice direttore generale di Unione Fiduciaria: “l’impatto della Mifid 2 lo stiamo già vedendo in parte con le operazioni straordinarie che hanno interessato le sgr ma aspettiamo i regolamenti attuativi entro il 3 luglio di Consob”. E aggiunge: “l’impatto sarà forte sui collocatori, la direttiva richiede una maggiore profilazione dei clienti e chiede alle banche di avere più risorse qualificate al loro interno. Le banche, infatti, devono sottoporre i consulenti finanziari, anche quelli che fisicamente sono sempre in sede, di domani ad avere certificazioni che attestino un percorso qualificante”.

Il Pir come ponte fiscale. Nel corso dell’incontro si è parlato di Pir, i piani di risparmio individuali a lungo termine, previsti dalla legge di bilancio 2017 che prevedono agevolazioni fiscali sotto forma di detassazione delle plusvalenze per chi decide di investire per cinque anni sulle aziende italiane e non prevedono imposte di successione. “Destinati agli investitori retail, i Pir dovrebbero rappresentare uno stimolo rilevante per l’economia reale del Paese, veicolando il denaro delle famiglie verso investimenti produttivi e imprese nostrane e consentendo parallelamente a queste ultime di reperire risorse attraverso un canale alternativo a quello bancario”, spiega Roberta D’Apice, direttore settore legale di Assogestioni. Scendendo nel dettaglio, le persone fisiche che mantengono per almeno 5 anni i soldi in Pir non dovranno pagare le imposte su capital gain e rendimenti (12,5% sulle cedole e utili relativi a titoli di Stato e 26% su azioni e obbligazioni). Rimangono invece esclusi dall’agevolazione i redditi derivanti dal possesso di partecipazioni qualificate e quelli che concorrono a formare il reddito complessivo dell’investitore. E attenzione: se alla conclusione dell’investimento non ci saranno utili, ma perdite, il risparmiatore dovrà rispettare le regole generali dei fondi per il credito di imposta. Inoltre la ‘mini-patrimoniale’ del 2 per mille sul valore del portafoglio a fine anno deve essere comunque versata. E non ci sono vantaggi in tema di donazione. Sull’argomento relativo al fisco, secondo Vedana, i Pir “potrebbero essere considerati un ponte fiscale anche per riportare in Italia patrimoni che gli italiani hanno all’estero. Dall’ultima voluntary disclosure sono arrivate quasi 130 mila domanda e oltre 4 miliardi di incassi per il fisco.  Con lo strumento dei Pir gli italiani che hanno i soldi fuori potrebbero pensare di rimpatriare”. Peccato che ogni persona fisica possa investire un minimo di 500 euro e un massimo di 30mila euro l’anno, con un limite complessivo (vale a dire nell’arco dei 5 anni previsti) pari a 150mila euro.

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