La Grecia non convince Eurostat, ma gli analisti restano ottimisti. E voi?

I conti della Grecia non convincono Eurostat, che mette le mani avanti: l’istituto statistico europeo stamane ha espresso “una riserva sulla qualità dei dati riportati dalla Grecia, a causa di incertezze sul surplus della sicurezza sociale, alla classificazione di alcune entità pubbliche ed alla registrazione contabile degli swap fuori mercato”. Se aggiungete che sempre oggi un report di Goldman Sachs ha ventilato l’ipotesi che Atene possa procedere ad una ristrutturazione, sia pure su base volontaria, del debito, con possibile sforbiciata ai pagamenti o dilazioni degli stessi, operazione che per gli esperti della banca d’affari americana potrebbe essere realizzata nel giro di qualche mese, si capisce come mai anche quella di oggi sia stata per i mercati obbligazionari una giornata difficile, con spread nuovamente ai massimi storici per un altro paese periferico di Eurolandia, il Portogallo, e quotazioni in calo per i titoli di stato italiani, greci e spagnoli.

 

Si naviga, insomma, a vista, nonostante l’ottimismo che continua a essere profuso a piene mani dalle grandi banche del vecchio continente, come nel caso di UniCredit, oggi impegnato nell’assemblea di bilancio a Roma, il cui presidente, Dieter Rampl, ha aperto la giornata dichiarando che “il picco della crisi finanziaria è ormai alle nostre spalle” e che proprio l’ampia diversificazione geografica e la presenza sui mercati emergenti dell’Est Europa potrà costituire un “vantaggio competitivo chiave”, assieme all’apporto proveniente dalla crescente domanda di credito delle industrie tedesche, a loro volta sempre più legata all’area dell’ex cortina di ferro.

 

Nel complesso ottimisti anche gli analisti finanziari italiani e non, sia per via dei buoni risultati societari finora pubblicati a Wall Street (un po’ meno in Europa, dove ad esempio il Credit Suisse, pure battendo le attese, ha relativamente deluso nel confronto coi risultati record dei concorrenti statunitensi come Goldman Sachs, Morgan Stanley e Citigroup), tanto che il consiglio che si sente correntemente nelle sale operative è di rimanere investiti e di non farsi prendere dalla fretta di liquidare le posizioni ad ogni stornir di fronde. Anche perché le alternative continuano a latitare o quasi, con tassi vicini ai minimi storici e destinati per consenso pressochè unanime a rimanervi per un “periodo esteso” almeno sui mercati occidentali (diverso il discorso sugli emergenti dove la crescita economica continua ad essere esuberante e dove già si segnalano i primi rialzi dei tassi, peraltro ben “digeriti” dalle borse locali).

 

In queste condizioni cosa consigliare alla clientela, o meglio come rapportarsi ad essa? E’ (ancora) tempo di spingere prodotti a rischio? O la prudenza fa premio nonostante i modestissimi rendimenti ottenibili? Alcune reti sembrano aver optato per questa seconda soluzione, ma non tutti sono convinti che sia la migliore né per gli investitori né per i promotori finanziari. E voi cosa pensate sia il caso di fare, avere coraggio o fare il pesce in barile? Come sempre indirizzate i vostri commenti qui

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