Risparmio gestito: la crisi di oggi risolverà i problemi di ieri?

La valuta unica continua infatti a perdere quota dopo che la decisione della Germania di vietare le vendite allo scoperto dei titoli di stato della zona euro, dei Cds (Credit default swap) su questi titoli e delle azioni delle prime dieci istituzioni finanziarie del paese si è rivelata un autentico boomerang, per di più non trovando ulteriore seguito in Europa a conferma della difficoltà di elaborare una strategia comune per uscire dalla crisi del debito dei PIIGS.

Crisi del debito cui certo non fanno bene dichiarazioni come quelle della cancelliera tedesca Angela Merkel secondo cui l’ormai famoso (ma pur sempre “fumoso” almeno quanto a dettagli giuridici) piano di salvataggio da circa un triliardo di dollari annunciato ormai due settimane or sono è stato solo un modo per “prendere tempo per noi, per risolvere le differenze in competitività e deficit di bilancio dei singoli paesi dell’Eurozona”. Differenze che non si sono appianate in fase di crescita e ancor più difficile e doloroso sarà appianare durante la recessione che le misure di austerity che i governi dei Sedici stanno via via annunciando finiranno col produrre.

Non pensino i lettori di Bluerationg che questa newsletter sia divenuto il rifugio per ariose quanto inconcludenti ragionamenti “sui massimi sistemi”: se vi parliamo dell’euro (che per molti starebbe solo bruciando una sopravvalutazione accumulata negli ultimi anni e quindi potrebbe ancora perdere terreno prima di stabilizzarsi) e dell’impatto, in termini economici, che le misure di austerity legate al salvataggio dei PIIGS avranno sullo scenario macroeconomico del vecchio continente è perché anche l’attività dei promotori finanziari è legata a doppio filo all’economia. Il risparmio, sia esso amministrato sia gestito, è infatti una frazione del reddito e il reddito dipende direttamente dall’andamento dell’economia.

A parità di altre condizioni una fase di non crescita o di recessione economica limita dunque la possibilità di espansione del settore ed anzi accentua la concorrenza tra le varie strutture, come sa chiunque abbia iniziato l’attività da oltre 10 anni e si ricordi dunque cosa voleva dire essere un promotore finanziario negli anni Ottanta o Novanta del secolo scorso, rispetto ad ora. Non stupisce dunque che più di un gruppo stia valutando il da farsi, e non parliamo solo di UniCredit (per Pioneer) o Intesa Sanpaolo (con Fideuram).

La domanda che continuiamo a rivolgervi è: pensate che la crisi economico-finanziaria dell’area dell’euro accelererà il ricambio manageriale e organizzativo del settore? O ci sarà ancora da soffrire?  A giudicare dai primi riscontri la risposta sembrerebbe negativa, se è vero come si lamenta un nostro lettore che “fino a che esisterà una struttura commerciale piramidale con i manager che si ciucciano circa il 50% di guadagno del PF e lo spronano a compiere azioni “non Mifid Compliance”, come si fa?”. L’unica soluzione, prosegue il professionista, “è liberare la professionalità del P: no manager, no contest, no uffici pagati dalla società, solo il mandato di agenzia con remunerazione retrocessa al PF all’80%”.

Insomma, occorrerebbe perché la professione torni ad avere un futuro che sia “il pf che si deve organizzare localmente: pagarsi l’ufficio e sviluppare la propria attività (un po’ come gli agenti assicurativi)”, meglio ancora se il PF potesse “sottoscrivere mandati di agenzia con più mandatari: l’impossibilità del plurimandato è l’altro elemento che impedisce il vero riconoscimento del ruolo del PF. I mandati di agenzia sono scritti da un unico soggetto (tra i due esistenti) che ovviamente pensa a fare i propri interessi”. Che la crisi, per superare la quale da più parti si invocano non solo tagli e risparmi ma autentiche riforme economico, finanziarie e fiscali, possa offrire l’occasione di vedere tutto questo? Inviateci come sempre i vostri commenti qui: Promotori di oggi, problemi di ieri

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