Risparmio gestito e internet, parallelismi pericolosi

La situazione in cui versa il settore del risparmio gestito italiano ricorda da tempo quanto si sta verificando anche su internet: in entrambi gli ambienti si stanno formando (o rafforzando) sistemi oligopolistici in cui pochi soggetti dispongono di un forte potere di mercato e sfruttano alcune asimmetrie informative per fare in modo di mantenerlo quanto più a lungo possibile. 

 

Così come Google o Facebook nonostante siano nati per dare visibilità ai migliori contenuti e/o autori della rete stanno suscitando sempre maggiori perplessità circa gli effettivi criteri in base ai quali organizzano e rendono disponibili le informazioni al pubblico, banche e compagnie assicurative nonostante debbano in teoria servire gli interessi della clientela paiono fare di tutto per mantenere la stessa quanto più all’oscuro dei meccanismi di formazione del prezzo dei servizi forniti. Non siete d’accordo? Altrimenti perché anche la Consob avrebbe dovuto intervenire ripetutamente, da ultimo con la Comunicazione n. 9019104 del 2 marzo scorso che ha precisato le linee guida fornite dalla Commissione per l’adempimento del “dovere dell’intermediario di comportarsi con correttezza e trasparenza in sede di distribuzione di prodotti finanziari illiquidi”.

 

La Mifid già impone (art. 19.1) agli intermediari finanziari di agire “in modo onesto, equo e professionale per servire al meglio gli interessi dei loro clienti”; se ora la Commissione ha ritenuto necessrio dare indicazioni agli operatori mirate, in particolare con riferimento ad alcune tipologie di prodotti (i c.d. prodotti illiquidi ovvero derivati Otc, polizze unit e index linked e obbligazioni bancarie e strutturati) per dare concreta applicazione a tale principio, è perché evidentemente non è così sicura che il precetto sia da tutti rispettato.

 

Dubbi che hanno più volte sfiorato (per usare un eufemismo) i lettori di Bluerating, che anche in questi ultimi giorni parlando di una delle più note realtà del settore commentano: “è l’esempio peggiore di una professione indecente”. E a chi, facendo parte di tale azienda, ribatte che se il gruppo resta da anni ai vertici del settore è perché “i suoi PF sono quelli che lavorano meglio e guadagnano di più” i nostri lettori sono rapidi nel rispondere, numeri alla mano: “i portafogli saranno piccoli, ma soprattutto sono malpagati”, aggiungendo: “come si fa su 2,65% di commissione di gestione, dare al promotore briciole dello 0,30%?  In tutte le altre società con 10 milioni prendi 50.000 all’anno di management fee”.

 

Questo perché, fanno notare altri, a differenza di altri gruppi come Azimut, la rete in questione “investe sulla rete di vendita, non sulla qualità dei prodotti” e comunque pare di capire che anche gli investimenti sulla rete sono fatti solo sui numeri (dei PF) più che sulla qualità (in termini di formazione e capacità consulenziale) degli stessi. Indovinate di chi stiamo parlando? Ma senza voler sempre buttare la croce addosso agli stessi nomi, non sarebbe il caso di chiedersi, tra tutti, se non sia ora di cambiare e iniziare a puntare realmente sulla qualità e sulla trasparenza come leve concorrenziali e non solo come meri slogan pubblicitari? Fateci sapere come la pensate, inviando i vostri commenti qui

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