Prati, family office d’attacco

di Paolo Brambilla

Quarantenne, iscritto all’Albo dei promotori finanziari, con un curriculum e una esperienza lavorativa inizialmente non diversa da molti altri, ma con uno sviluppo professionale non comune. È questo il biglietto da visita di Cristiano Prati, laureato a pieni voti alla Cattolica di Milano, che si è trovato a lavorare per un po’ di anni in una affermata Sim e in una grande banca italiana, a contatto con clienti di ottimo livello. Una decina di anni fa scatta la molla, l’occasione irripetibile. Un grande cliente da lui seguito gli fa una proposta che non si può rifiutare: seguire il suo capitale a tempo pieno.
Come avrete capito si trattava di un capitale personale di tutto rispetto, che giustamente richiedeva un impegno non sporadico. Si trattava dunque di avviare una sorta di “family office” con un cliente molto preparato, ma logicamente molto esigente. Rinunciare al posto fisso in banca, accettare l’incarico e gettarsi nella mischia è stato un tutt’uno. Agli appassionati di calcio farà piacere sapere che non è una mera coincidenza il cognome Prati. Il nostro intervistato è proprio il figlio del mitico Pierino Prati, che dopo i grandi successi come capocannoniere del Milan, continua a vedere il prorio cognome citato anche in ambito finanziario, non per meriti personali, questa volta, ma per merito del figlio che sembra saper “fare goal” al momento giusto, come il padre.

Come sono stati gli inizi di questo innovativo family office che ti è stato affidato?
Possiamo dire che la mia figura è nata dal basso, cioè dalle esigenze del cliente che si è costruito una figura di riferimento e di fiducia a suo piacimento in grado di rispondere in pieno alle sue esigenze; non è calata dall’alto come potrebbe essere un family banker o un consulente che ha sempre una struttura che fornisce le linee guida.
La mia attività fin dall’inizio è stata variegata: si va dal classico back office su valori mobiliari, ai rapporti con le banche per la gestione dei conti correnti, alle pratiche di affidamento bancario per privati e società, alle operazioni strutturate di finanziamento agli investitori, pianificazione successoria e la più classica consulenza finanziaria nella scelta dell’asset allocation.

Qual è oggi, secondo lei, il ruolo del family office in Italia? È molto diverso dal ruolo rivestito in paesi come gli Usa?
Sicuramente la nostra realtà è agli inizi, e lontana da quella dei paesi anglosassoni e Usa dove vi è una cultura finanziaria più matura. Pur avendo degli ottimi spazi di crescita, confermati dal fatto che tutti i big del credito stanno potenziando il private banking e creando figure quali il family banker, proprio per accaparrarsi questa fetta di mercato, credo che in Italia troverà delle difficoltà ad affermarsi, principalmente per la cultura del “fai-da-te”, che predilige il bancario e/o promotore che segue il patrimonio direttamente con il titolare piuttosto che affidarsi a una persona pagata direttamente per farlo. A tutto ciò si potrebbe arrivare dopo aver spiegato questa nuova figura, che cosa può dare, quale valore aggiunto può fornire, insomma far maturare una certa cultura finanziaria.

I dati sugli High Net Worth Individuals, pubblicati in questi giorni negli Usa, sono applicabili anche alla realtà italiana?
I grandi patrimoni letteralmente sono definiti sopra i 500.000 euro, soglia senz’altro di interesse per un family office, anche se un servizio più completo comporta masse sicuramente superiori. La realtà italiana, per il discorso del punto precedente, si presta ad un mero servizio di consulenza, nel limite del possibile indipendente, in attesa di una cultura finanziaria più matura e attenta.
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