Basilea, atto terzo

di Luigi Rizzi

La grave crisi economica che si è abbattuta sui mercati finanziari ha fatto emergere diverse criticità del corposo e complesso impianto regolamentare in materia di vigilanza prudenziale noto come Nuovo Accordo sul Capitale o Basilea 2. Sin dall’inizio della crisi è stato chiaro che molti strumenti inclusi nella definizione regolamentare di capitale non avevano una qualità sufficiente per assorbire le perdite e che l’Accordo non aveva approfondito il tema della liquidità.
Al fine di dotare i mercati finanziari di strumenti più idonei a garantirne un ordinato sviluppo sono stati avviati diversi lavori a livello internazionale.
Tra questi si possono citare i lavori del G20, del Financial Stability Forum, presieduto dal governatore Mario Draghi, della Commissione Europea e del Comitato di Basilea. In particolare le proposte emesse dal Comitato prevedono una più adeguata “calibrazione” del peso di alcuni rischi e, dunque, del patrimonio che le banche devono detenere per farvi fronte. La crisi ha mostrato come i rischi (in particolare quelli del mercato e di controparte), insiti in alcune tipologie di esposizione, fossero ampiamente sottostimati e come non siano state approfondite le correlazioni tra le diverse attività finanziarie iscritte in bilancio in condizioni di stress.
Le proposte, inoltre, sono volte a intervenire riguardo al miglioramento della qualità degli strumenti finanziari che possono essere inclusi nel patrimonio di vigilanza.
Il nuovo pacchetto regolamentare sottolinea l’importanza di una definizione della componente predominante del patrimonio di base (il Core Tier 1) che includa solo elementi con la più forte capacità di assorbire perdite. La revisione della definizione del patrimonio di vigilanza mira ad aumentare la capacità delle banche di assorbire le perdite.

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