Unicredit, i libici si difendono

Nessuna intenzione di salire al 10%. Quanto alle due quote detenute in Unicredit, la prima facente capo per il 4,99% alla Banca centrale di Tripoli, e la seconda (per il 2,07% del capitale) alla la Libyan Investment Authority (Lia), si tratta di due pacchetti acquisiti “da istituzioni distinte, in tempi se separati e, soprattutto, a prezzi diversi”. E che insieme non aggirerebbero il tetto ai diritti di voto fissato dallo Statuto delle banca al 5%.

E’ questa, in estrema sintesi, secondo quanto apprende l’agenzia Adnkronos da fonti vicine ai soci libici, la posizione che sarà sostenuta in risposta alla richiesta di chiarimenti da dare alla Consob sull’aumento della quota in Unicredit oltre la soglia sensibile del 2% perfezionata dalla Lia ai primi di agosto e sulla quale anche Bankitalia ha chiesto chiarimenti.

Sempre secondo le stesse fonti, inoltre, non sarebbe intenzione dei libici salire fino al 10% del capitale della banca. Il fondo sovrano libico, precisano le fonti, «è un investitore istituzionale che realizza investimenti finanziari, di tipo speculativo»; non a caso, si fa notare, ha acquisito la quota a prezzi ben diversi da quelli a cui ha fatto ingresso in Unicredit la Banca centrale libica, che da una piccola quota dello 0,87% del gruppo, in occasione dell’aumento di capitale realizzato da Piazza Cordusio nell’ottobre 2008, arrivò al 4,23%.

Un’iniezione di petrodollari giunta in un momento critico con un’operazione che fu subito definita «amichevole» dagli stessi interessati. E per la quale si dice che la Banca libica abbia utilizzato fondi già disponibili in altri paesi europei.

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