Unicredit, Bankitalia: poteri a tempo a Rampl

Nessuno parla alla Banca d’Italia sulla vicenda Unicredit anche se, com’è ovvio, da Palazzo Koch è stato seguito con estrema attenzione lo scontro che si è determinato al vertice della banca e il suo esito traumatico, con fine dell’era Profumo dopo sedici anni di onorata carriere a Piazza Cordusio.

Le preoccupazioni principali della Banca centrale riguardavano e riguardano l’articolazione della governance della più grande azienda di credito italiana, perché questa è la competenza che oggi la legge affida alla Vigilanza, ma, soprattutto, attengono alla certezza della sua guida societaria. C’è un principio, infatti, che vale per tutte le aziende di credito, perché anche le più piccole intermediano il risparmio, cioè un bene tutelato dalla Costituzione e che a maggior ragione si deve applicare a un colosso da mille miliardi di euro di totale attivo: il ponte di comando deve essere definito con chiarezza. Si deve sapere cioè quali sono le responsabilità e a chi sono attribuite.

È probabile, quindi, che la scelta maturata al termine della burrascosa riunione del cda di ieri sera, con l’attribuzione delle deleghe operative al presidente di Unicredit, Dieter Rampl, possa essere considerata dalla Banca d’Italia compatibile con l’attuale regolamentazione, ma solo a patto che questa rappresenti una soluzione eccezionale, di breve durata e di supplenza, in considerazione dell’esigenza di assicurare stabilità a un’azienda di credito che ha dimensioni di rilevanza sistemica.

Certamente a Via Nazionale nessuno ha però mai pensato né a sostituirsi né a non tener conto della volontà degli azionisti e dunque la sola richiesta rivolta da Bankitalia sin da quando la presenza libica ha cominciato a manifestare i segni della sua ulteriore crescita sul mercato è la chiarezza, essenziale per la salute di una grande società quotata.

Già all’inizio d’agosto, quando si è verificato il rafforzamento azionario dei soci libici di Unicredit che hanno acquistato tramite la Libyan investment authority il 2,07 per cento (con il che il pacchetto libico si è portato al 7 per cento per poi salire ancora, come si è appreso nei giorni scorsi a un complessivo 7,6 per cento) via Nazionale aveva chiesto a Unicredit di chiarire le proprie valutazioni sull’influenza dell’aumento della partecipazione dei libici sulla governance.

In questi casi, di solito, arriva una risposta rapida (e senza alcun bisogno di quella “vigilanza virile” dei tempi andati per la quale in questi giorni alcuni commentatori economici hanno espresso nostalgia; uno stile muscolare che non può tornare, se non altro perché l’autorizzazione preventiva non c’è più e perché la prima soglia per la quale la legge richiede tuttora autorizzazione scatta al 10% del capitale). Soprattutto nel caso in cui, com’è accaduto, trapeli che la Banca d’Italia non era stata informata dei cambiamenti nella compagine azionaria.

Invece, la situazione della cabina di regia dell’azienda di credito si è rivelata sempre più complessa, molto più complessa del previsto, con le tensioni forti al vertice fra il ceo Alessandro Profumo e il presidente Rampl che si è detto all’oscuro della situazione e lo ha fatto sapere per scritto alla Banca d’Italia. Così le domande espresse da via Nazionale sono ancora là: essenzialmente si voleva sapere se quel 2,6 per cento che fa capo al fondo sovrano libico comporti un altro posto in consiglio d’amministrazione e come ciò possa cambiare eventualmente gli equilibri. Ma la risposta a Bankitalia, secondo i piani (pre-terremoto) della banca dovrebbe arrivare solo il 30 settembre prossimo.

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