Consulenti – Pip, no grazie

Articolo tratto dal blog di Nafop

Cominciamo trasformando un termine poco noto in qualcosa di più familiare per il lettore. L’acronimo PIP sta per piano individuale pensionistico ovvero una forma di risparmio volontaria finalizzata alla costituzione di una propria pensione da affiancare a quella pubblica, il cosidetto secondo pilastro da anni in cerca di una diffusione ben più ampia di quella attuale. Nonostante tanti problemi, in primis quello della congiuntura economica con tutti i suoi risvolti, al momento catturano molta più attenzione, il dibattito sulla previdenza complementare è molto vivo anche per gli aspetti sociali che potrebbero scaturire se intere generazioni non si predisponessero adeguatamente al passaggio da un reddito lavorativo di valore 100 ad una pensione di valore 50, situazione concreta già dal 2040.

Il Presidente della Covip (Commissione di Vigilanza sui fondi pensione) negli ultimi tempi è intervenuto a più riprese sul tema auspicando, attraverso una maggiore educazione finanziaria da una parte e un sostegno statale maggiore dall’altro, che l’esempio del Trentino Alto Adige dove un progetto territoriale (il Laborfonds) ha portato ad una percentuale di adesione del 46% diventi un’obiettivo nazionale e non resti invece un’oasi felice nel deserto. Altro aspetto importante su cui sono intervenuti sia il citato Presidente della Covip che il Governatore della Banca d’Italia è quello dei costi dei prodotti previdenziali individuali (tra cui i citati PIP) sollecitati anche dai dati sulle nuove adesioni nel primo semestre 2010 che riproduciamo (dati statistici COVIP luglio 2010).

Il dato più rilevante che emerge è la crescita delle adesioni solo per i PIP, frutto evidentemente del lavoro di proposizione delle varie reti di vendita preposte al collocamento di tali prodotti. Peccato che proprio tali prodotti sono quelli meno convenienti per il rispamiatore che pensa alla propria pensione integrativa; ricorriamo anche in questo caso all’elemento più chiaro e trasparente del mondo della finanza ovvero i numeri. L’ISC (indicatore sintetico di costo) medio dei PIP al 31 maggio (fonte COVIP suffragata dalle analisi effettuate costantemente dallo scrivente studio) è pari all’1,9% con punte fino al 3,5% a fronte dell’1,2% dei fondi aperti e dello 0,4% dei fondi negoziali. Tali costi sono fondamentali ai fini del risultato finale del proprio piano pensionistico: su un periodo di 35 anni di accumulo una differenza dei costi dell’1% può determinare un’effetto negativo sulla prestazione finale anche del 20%. Ecco perché il nostro titolo, ecco perché il richiamo all’attenzione riguardo questi prodotti molto convenienti per l’offerente e molto meno per l’acquirente.

Ma non ci sono solo notizie negative per il risparmiatore: in un quadro certamente non di concorrenza come in altri Paesi dove la previdenza complementare è molto più sviluppata, vi sono tuttavia anche in Italia fondi pensione con costi molto più contenuti.
Muoversi autonomamente tra decine di prospetti informativi alla ricerca della soluzione migliore sia riguardo i parametri oggettivi citati (in primis i costi) che soggettivi (le proprie esigenze) può essere arduo per il risparmiatore ma in tutta Italia studi di consulenza finanziaria indipendente assistono la clientela, tra l’altro, anche in questo cammino irto di insidie da evitare. E anche qui sempre con l’ausilio dei numeri, il pagamento di una parcella professionale può produrre benefici ben superiori ai guasti derivanti da un cattivo suggerimento.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!