Non è colpa della MiFID

di Gaetano Megale

Dopo quasi 3 anni dall’entrata in vigore della MiFID è possibile fare un bilancio sul tema della consulenza in materia di investimenti e cercare di delineare, o auspicare, i possibili sviluppi normativi e di mercato della consulenza stessa. Fatte salve le finalità generali della normativa, nel passato abbiamo registrato da più parti numerose valutazioni negative della MiFID in conseguenza della sua attuazione. Qui ne riportiamo alcune: significativo appesantimento operativo, incremento rilevante dei costi dell’implementazione e della gestione amministrativa, profilatura del cliente formale e persino inutile per l’effettiva operatività, eccessiva documentazione da fornire al cliente, avversione della clientela al disbrigo delle pratiche, incremento importante del rischio di contenzioso con la clientela.
Tuttavia molte di queste valutazioni non possono essere, onestamente, imputate alla normativa “in sé”. È possibile che la sua complessità si origini da come la normativa venga interpretata e, dunque, implementata dagli intermediari. Ad esempio, una lettura formale della MiFID induce necessariamente a far proliferare la “carta” e a incrementare le difficoltà operative che, obiettivamente, danneggiano gli intermediari, gli operatori e gli stessi clienti.
A questo proposito, siamo del tutto certi che non sia possibile semplificare l’operatività mediante una migliore organizzazione e comunicazione con la clientela?
Inoltre, se la MiFID non viene vissuta dagli intermediari come un modello relazionale con i clienti, è evidente che la divaricazione con i comportamenti effettivi può produrre elevati rischi di contenzioso con ricadute reputazionali negative. Anche qui, siamo certi che non sia possibile far convergere i comportamenti commerciali e quelli formali in maniera da eliminare, alla radice, le difformità?
Questi quesiti evidenziano comunque un dato di fatto.
I primi tre anni della normativa sono stati utilizzati dal mercato “semplicemente” per implementarla, prestando attenzione soprattutto ai suoi aspetti formali, disattendendo talvolta, come la stessa Consob ha spesso evidenziato, lo stesso spirito della norma.
Le attività di implementazione della MiFID da parte degli intermediari hanno evidenziato che vi sono differenti interpretazioni della consulenza, tutte formalmente ammissibili ma con diverso valore sostanziale. Ciò è dovuto al fatto che la normativa, naturalmente, non definisce i contenuti metodologici del servizio di consulenza in quanto fornisce “solo” una sua definizione che insiste su due concetti cardine: personalizzazione ed adeguatezza delle raccomandazioni al cliente.
Dalla lettura di alcuni significativi documenti relativi alla consulenza (quali il Quaderno di Finanza Consob n. 64 “Le scelte di portafoglio degli investitori retail e il ruolo dei servizi di consulenza finanziaria” del luglio 2009 e il documento del Cesr “Understanding of the definition of advice under Mifid” dell’ottobre 2009 e dei Feedback Statement dell’aprile del 2010) è possibile delineare diverse possibili tipologie operative del servizio consulenziale che possono convivere nel mercato.

Consulenza come selezione di prodotti

È il profilo di servizio più distante dallo spirito della normativa MiFID e presenta il più scarso contenuto qualitativo. L’adeguatezza viene valutata su ciascuna singola operazione, senza considerare l’impatto della sottoscrizione o vendita sull’intero portafoglio delle attività del cliente. Il servizio assume una forma “episodica” e non considera criteri razionali di allocazione delle risorse, laddove le scelte sono effettuate in base a considerazioni del tutto contingenti. Il portafoglio delle attività finanziarie del cliente risulta così privo di ogni criterio strategico di organizzazione ed il servizio si sviluppa nel tempo essenzialmente su aspetti rendicontativi dei prodotti. 

Consulenza come ottimizzazione di portafoglio

È il profilo di servizio che si concentra sulla dimensione “tattica” della consulenza, ossia sull’allocazione delle risorse in funzione di un unico profilo di tempo-rischio-rendimento. L’adeguatezza viene valutata su un “portafoglio modello” e la personalizzazione consiste nella scelta di prodotti coerenti, individuati all’interno della gamma a disposizione.
Il servizio poggia sulla proposizione di un portafoglio con un grado di rischio collegato al profilo del cliente. Eccezionalmente considera anche le attività finanziarie detenute presso terzi, e il portafoglio è definito da algoritmi di ottimizzazione per incrementare il rapporto di efficienza tra rendimento e rischio su un determinato orizzonte temporale. La gestione del portafoglio nel tempo è finalizzata al mantenimento del rapporto rischio-rendimento definito inizialmente e ciò determina l’operatività di acquisto/vendita dei prodotti.

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