Una storia infinita

di Carlo Esini

Già in passato ho avuto modo di intrattenervi sulla dubbia legittimità dell’art. 31 dell’abrogato Regolamento intermediari di cui alla deliberazione Consob
n. 11522/98 e della figura dell’operatore qualificato.
Come è noto tale famigerata norma è stata per anni utilizzata da alcune banche come grimaldello per aprire la corazza protettiva tessuta dall’ordinamento a tutela del risparmiatore al fine di collocargli, in particolare a PMI aventi forma giuridica societaria, derivati OTC altamente speculativi e remunerativi in gran parte solo per il collocatore. Io sono tra coloro che ritengono che la norma sia illegittima e dovrebbe essere disapplicata perché emanata dalla Consob in carenza di delega; l’art.6, comma 2, del Testo Unico infatti disponeva testualmente (all’epoca di emanazione del regolamento): “La Consob, sentita la Banca d’Italia, tenuto conto delle differenti esigenze di tutela degli investitori connesse con la qualità e l’esperienza professionale dei medesimi, disciplina con regolamento: … b) il comportamento da osservare nei rapporti con gli investitori”. Mi sembra evidente che la dichiarazione autoreferenziale di “competenza ed esperienza” che trasforma qualsiasi Srl in un operatore qualificato al quale non si applica più alcuna norma di tutela, è un artificio del tutto insufficiente a qualificare un operatore come “professionale”. In altri termini la Consob ha creato una figura che non esiste nella delega conferitale dalla norma primaria: un operatore qualificato anziché un operatore professionale. I paladini della tesi opposta hanno peraltro gongolato non poco dopo la pubblicazione della sentenza emessa dalla Cassazione, Sez. I, il 26 maggio 2009, n. 12138 secondo la quale la figura dell’operatore qualificato creata dalla Consob sarebbe legittima. Devo dire che, in un primo momento, mi sono allarmato anche perché in Prima Sezione c’è almeno un Giudice che, a mio modesto avviso, in questa materia è un’autorità indipendentemente dalla toga. Mi sono perciò messo ad approfondire con la cenere già pronta per cospargermi il capo nel caso avessi scoperto di essermi completamente sbagliato.
La vicenda giudiziaria prende le mosse da un contratto di swap stipulato nel maggio del 1992 tra una società per azioni e una grande banca torinese su un nozionale piuttosto elevato che aveva generato per la società oneri pesantissimi in pochi mesi. Dopo due sentenze negative di merito, la società aveva ricorso avanti alla suprema Corte per la cassazione della sentenza di appello indicando quale primo motivo che la sentenza impugnata meritava censura “…per non avere i giudici di appello dichiarato illegittimo l’art. 13 del regolamento Consob 1991/5387, il quale, nell’istituire la categoria degli operatori qualificati e nell’escludere l’applicazione nei loro confronti delle norme di protezione fissate dall’art. 6 della legge 1991/1, cosi introducendo arbitrariamente una specificazione non contemplata dalla legge delega, avrebbe violato il disposto dell’art. 3, comma 2, e dell’art. 4, comma 1, delle disposizioni sulla legge in generale”. Come ben si capisce, il processo finito nel 2009 aveva ad oggetto fatti risalenti al 1992, disciplinati dalla normativa all’epoca in vigore; di ciò ha ovviamente tenuto conto la sentenza che assume pertanto un valore quasi esclusivamente storico. La corte afferma che la Consob ha correttamente regolamentato la figura in quanto “…ha delineato una disciplina che non si pone contra legem, ma si configura praeter legem, così provvedendo a colmare quegli spazi lasciati vuoti dalla legge”. Nell’arco della motivazione la Corte si spinge anche a utilizzare come argomento l’entrata in vigore successiva dell’art. 6 del TUF che abbiamo sopra ricordato, ma possiamo non preoccuparcene troppo dato che il ragionamento sembra stare in piedi comunque, visto che la L. 1/91 nulla prevedeva in materia. Ma allora, per quanto riguarda il periodo successivo all’entrata in vigore del TUF, la sentenza finisce per rafforzare la tesi che io difendo: se la Consob poteva legittimamente “…colmare quegli spazi lasciati vuoti dalla legge…”, nel momento in cui è entrata in vigore una legge che indicava i limiti della delega, doveva attenersi rigorosamente ad essi e non semplicemente ricopiare il vecchio regolamento. La legittimità dell’art.31 del reg. 11522/98 quindi è ancora tutta da discutere. La cosa mi fa un gran piacere anche perché così salvo il mio ego.

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