Promotori- La rivoluzione è necessaria

Di Francesco Priore

I fondi comuni, nella distribuzione delle attività finanziarie delle famiglie, sono scesi dal 3° al 5° posto e dal 17,7% al 5,2% di share nel decennio 1999/2009. I PF con mandato degli intermediari di Assoreti dal 2001 al 2010 sono passati da 35.562 a 23.068. Ma la flessione dei promotori non ha influenzato il crollo dei fondi e i PF hanno rafforzato la loro quota. L’indagine di marzo 2011 Censis- Confcommercio dice che 9 italiani su 10 dicono no ai fondi comuni. I risparmiatori non riconoscono all’industria del risparmio gestito, dopo circa trenta anni dall’istituzione dei fondi, la funzione e la capacità di proteggere i loro patrimoni. Il risk free invece (c/c, titoli di stato, bond bancari) mantengono e migliorano le posizioni, ma l’inflazione potrebbe ridurre il valore reale del risparmio accumulato: il 30 % dei risparmiatori non va oltre il c/c. La difesa del risparmio dall’inflazione, nel medio e lungo termine, dovrebbe realizzarsi tramite investimenti in beni reali come azioni e fondi, ma questi investimenti regrediscono e la loro quota si ferma al 10%, mentre in beni immobili (tranne il 2001) il trend è stato sempre crescente.

Cosa si aspetta un risparmiatore?
Di poter riprendersi i soldi quando ne ha bisogno, se poi il deposito gli frutta degli interessi è soddisfatto, quando il cliente preleva i suoi soldi la banca è affidabile. I consigli sugli investimenti della banca, poi, anche se sbagliati, non scalfiscono la credibilità nei confronti degli istituti di credito. Invece, il cliente da un PF si aspetta un risultato positivo, anche se non a breve termine. Se sono sporadici, gli interessati tornano al noto e abbandonano il gestito. Gestire è difficile. Le persone però si aspettano che un professionista faccia meglio del mercato, altrimenti non riescono a giustificarne la funzione. Le classifiche dei singoli fondi o dei gestori interessano e sono comprensibili solo agli addetti ai lavori ma non arrivano al pubblico.

Cosa dovrebbe fare allora l’industria?

Comunicare in maniera comprensibile. La conferma è data da quelle poche eccezioni domestiche e dalle più numerose estere che non hanno difficoltà a far conoscere regolarmente le loro performance e mantengono per questa ragione una clientela fidelizzata. I clienti di Warren Buffet hanno constatato che qualche volta sbaglia ma hanno continuato ad affidargli i loro risparmi in considerazione dei miliardi di dollari che avevano guadagnato negli anni precedenti. Sarebbe opportuno che l’utilità economica per gli investitori italiani fosse comunicata e fosse di dominio pubblico. Gli addetti ai lavori sono stati messi a conoscenza invece di tutte le difficoltà che incontra il settore: la scarsità di gestori professionisti, la s c a r s a competitività, i costi eccessivi, il sistema fiscale penalizzante. Tutte queste difficoltà non giustificano la sopravvivenza di un mercato asfittico, anche perché alcune Sgr nello stesso mercato hanno ottenuto performance positive per molti anni. Le Sgr che facevano parte di gruppi più interessati ai depositi e all’amministrato o che disponevano di strutture capaci di mantenere la clientela hanno fornito delle performance che non hanno captato nuova clientela.

Spesso, i riflessi sulle reti, sono stati pesantissimi.
Il PF è dovuto passare da consulente del risparmio, professionista capace di orientare il cliente verso gli Oicr e le gestioni di portafoglio, quelle adatte a soddisfare le esigenze dei clienti, a un’attività tuttofare: c/c, mutui, assicurazioni, leasing. Il PF deve poter offrire tutti questi servizi ai propri clienti come ulteriore supporto all’attività principale. Se però dedica la maggior parte del suo tempo alle attività accessorie, mettendosi in concorrenza con i bancari, gli assicuratori, i mediatori creditizi, gli agenti in attività finanziaria, trascura la sua missione. Se il PF avesse avuto o potrà disporre di servizi di risparmio gestito equipollenti a quelli dei mercati esteri, se la maggior parte delle reti sarà ideologicamente indipendente, potrebbe approfondire la preparazione e tendere a diventare private banker e wealth manager a tutti gli effetti, perché è quello che chiede il mercato: professionisti aggiornati e servizi adeguati per la cura e la tutela dell’intero patrimonio. Leggere che l’industria del risparmio gestito, in Italia, lo scorso anno sarebbe stata penalizzata da un costo totale dell’1.28%, di cui l’80% retrocesso ai collocatori, e che questi oneri hanno limitato le performance, è sconfortante. Significa che la redditività del sistema è inesistente e che le scelte dei risparmiatori sono state orientate verso i fondi risk free, i cui ritorni non coprono i costi.

È necessario, allora, un cambiamento di strategia.

Le scelte devono essere orientate dai professionisti, non è indispensabile che le Sgr siano separate dalla distribuzione ma è indispensabile che siano competitive. Questa industria è necessaria a patto che dia soddisfazione economica ai clienti, remuneri chi opera e il capitale, il che non è impossibile. Se questo mercato decollò in Italia lo si deve a quei famosi fondi lussemburghesi che negli anni ‘70 crearono un’immagine positiva, offrendo delle ottime performance nonostante i mercati e i costi, a due cifre, inimmaginabili oggi. Il mercato italiano deve cambiare, il reddito fisso copre a malapena dall’inflazione e continuerà così; i tassi cresceranno giusto per contrastare l’inflazione per poi tornare rapidamente a livelli molto bassi per rilanciare le attività produttive. I grandi player domestici del gestito (non tutti per fortuna) sembrano porsi altri obiettivi che la soddisfazione del cliente. I risparmiatori però prenderanno coscienza e si comporteranno come fecero gli automobilisti che, stanchi dei modelli nazionali che avevano più difetti che pregi e costi ingiustificati, si rivolsero ai produttori esteri, con il risultato che oggi il mercato appartiene a questi ultimi e quelli nazionali forse a breve non lo saranno più. I cambiamenti avvengono all’improvviso e inaspettatamente. Il nostro è un mercato del risparmio ricco e con grandi potenzialità, 100 miliardi di nuovo risparmio nel 2010, uno share che può tornare al 15% triplicando gli asset. I fondi esteri sono già presenti e preponderanti da noi, non gli ci vorrà molto a capire che conviene disporre anche dei canali distributivi retail. È facile che questi nuovi canali siano costituiti ex novo, le nostre reti in genere non brillano per snellezza e redditività, solo poche sono orientate all’innovazione in termini di gestione e profittevoli. Queste poche saranno concupite, ma probabilmente non converrà ai loro azionisti passare la mano, perché se il mercato decolla il loro valore sarà moltiplicato.

Il risultato?
I PF devono solo augurarsi che questo cambiamento avvenga prima possibile, quelli preparati e orientati alla cura professionale del cliente vedranno i loro portafogli crescere nel settore di cui sono, quasi, gli esclusivisti, sempre che le strutture siano in linea con il mercato. Questa industria non può sopportare un altro decennio di stagnazione. C’è già chi ha capito i bisogni del pubblico, chi si sta affrettando per innovare, l’opportunità è notevole per tutti gli attori che saranno capaci di gestire il corretto cambiamento.

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