Art Advisory – Aste primaverili di Farsettiarte

Due cataloghi con oltre settecento opere, tra incisioni, disegni, dipinti e sculture, che vedono protagonisti, come da tradizione, i nomi principali dell’arte italiana e internazionale del Novecento, tra cui è sufficiente citare Pablo Picasso, Joan Mirò, Andy Warhol, Hans Hartung, Max Ernst, Man Ray, Jean Dubuffet, Giorgio de Chirico, Filippo de Pisis, Carlo Carrà, Mario Sironi, Ottone Rosai, Mario Schifano, Lucio Fontana e Alberto Burri.
L’asta di arte contemporanea avrà luogo venerdì 27 maggio, alle ore 16 e 21, mentre quella di arte moderna sabato 28 maggio alle 16.00, sempre nella sede di Prato della storica casa d’aste toscana.

Molto attenta al futurismo, una dei più interessanti movimenti artisti italiani dello scorso secolo, Farsetti propone diversi capolavori del periodo.
Distante dal forte dinamismo di Boccioni, ma in sintonia con gli intenti del gruppo, Carrà affronta i temi principali del futurismo, come l’esaltazione della città moderna, in cui sono forti le tensioni e le dinamiche sociali e politiche, la velocità, derivata dal progresso tecnologico che cambia la percezione dello spazio e del tempo velocizzando gli spostamenti e facilitando le comunicazioni, e la simultaneità.
Nel manifesto “La pittura dei suoni, rumori odori”, scritto da Carrà nel 1913, l’artista esprime la volontà di ottenere una pittura totale, in cui si traducono in un puro insieme plastico di linee, volumi e colori le suggestioni ispirate dalla percezione dei sensi, con particolare predilezione per i suoni, i rumori e gli odori più adatti a colpire lo spirito del pittore; una nuova spazialità, in cui prospettiva ed architettura non sono in contraddizione con il dinamismo, ma ne esaltano la struttura, regolando gli elementi pittorici secondo armonie musicali, donando così un valore estetico alle emozioni.

In “Ritmi di linee” del 1912 (stima 230.000/330.000 Euro), opera distrutta durante la prima guerra mondiale e ridipinta dall’artista successivamente, Carrà traduce sulla tela i temi della simultaneità e dello stato d’animo tipici del futurismo, creando una composizione equilibrata in cui si ritrova l’uso monocromo del colore di derivazione cubista. Sulla superficie pittorica vengono descritte, attraverso l’alternarsi di linee, ombre e volumi, le emozioni scaturite dalla percezione fisica e sensoriale della realtà, con un distaccamento dall’identificazione grafica del dato reale. Il ritmo compositivo delle forme è definito dal contrasto tra toni chiari e scuri, che evidenziano l’uso privilegiato di elementi geometrici dinamici, come gli angoli acuti, e da elementi di raccordo e continuità come le linee curve, che sottolineano il passaggio tra i diversi piani prospettici. Nonostante i singoli elementi non siano strettamente legati tra loro, ma alternati in una composizione asimmetrica e organica, l’opera è caratterizzata da unità ed equilibrio, che sembrano contenere le tensioni interne del quadro, percepibili anche attraverso pennellate intense e veloci, che esaltano l’effetto dinamico presente nella tela.

La pittura di Rosai è sempre rimasta estranea a ogni regola accademica, così come a ogni falso tono popolaresco, in ciò noverando quello che scrisse di lui, nel 1945, Eugenio Montale: “Ai borghesi che amano la pittura popolaresca, la pittura dei cocomerai e dei barbieri, e che talvolta, per isbaglio, comprano i suoi quadri, Rosai rischia di dare di più di una delusione”. Nel capovolgere i ruoli, in questo far salire in alto chi sta in basso, in questo conferire la dignità di imperio a chi è sceso nei gradini più umili della società, sta la potenza della pittura di Rosai, potenza che assume a tratti non la manzoniana difesa degli umili, ma il drammatico orgoglio delle figure di Dostoevskij.
E tuttavia Rosai non giunge mai, nella sua pittura, alla tragedia, rimanendo sovente sì nel dolore, ma un dolore che si tinge dell’incanto.
Come in una sorta di Comédie Humaine, i personaggi di Rosai non pretendono di essere realistici, ma di restare veri all’interno di quel mondo di immagini e visioni che li ha generati, perdendo la loro interna consistenza drammatica laddove da questo mondo vengano separati. Per tale ragione la pittura di Rosai ebbe molti imitatori ma nessun vero erede: le sue figure possono vivere solo all’interno del suo mondo, fuori finiscono per morire e perdere la loro poesia. Il “Chitarrista“, del 1927 (stima 180.000/250.000 Euro), è stata dunque un’opera decisiva nel formarsi del suo stile e anticipa di undici anni, per la concezione, un altro esito alto della sua pittura, l’Uomo che prega, 1938.

Il catalogo vede una significativa presenza di autori stranieri, come dimostra l’opera, dipinta nel 1961, un “Caprice de Volcan” (stima 90.000/120.000 Euro), un dipinto emblematico della maturità di Ernst, il grande pittore tedesco partecipe in prima linea del movimento Dada e del Surrealismo e figura di primo piano della storia della pittura, della scultura e del collage per tutto l’arco della sua lunga carriera, che percorre gran parte del secolo appena trascorso.
Scrive il suo maggior esegeta, Werner Spies, in occasione di una retrospettiva dell’artista a Bologna nel 1981: “È qui l’innovazione rivoluzionaria di Max Ernst: aver inventato, per rappresentare l’ironia e il visionario nei suoi quadri, mezzi tecnici che già in quanto tali sono nuovi e singolari, dimostrando l’originalità del mondo fantastico dell’artista. Sbalordisce come Max Ernst giochi, in misura assai maggiore che ogni altro artista precedente, con strutture e tecniche, in modo che esse stesse divengono emozionanti messaggi”.

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