Promotori – Il calciomercato delle reti

di Luca Spoldi

Banca Network Investimenti, 3,5 miliardi di euro di patrimonio (2,55 di gestito e 0,89 di amministrato) e 630 promotori finanziari a fine 2010, è sul mercato? Voci in questo senso si rincorrono ormai da settimane, ma al momento non sembra esservi alcun annuncio ufficiale in arrivo. “Di sicuro non è cosa che si deciderà a giorni” conferma a Bluerating una fonte solitamente ben informata, che però poi aggiunge “di certo da troppo tempo si parla di contatti con altri operatori, da Polis Sgr a Ubi Banca e Euromobiliare fino a Banca Sara, nessuno dei quali ha mai portato a un risultato concreto”. Mentre concrete sembrano le necessità del socio di maggioranza relativa, Sopaf (titolare direttamente di una quota del 15% e insieme ad Aviva di un ulteriore 49,97% detenuto da Petunia Spa), impegnato in una ristrutturazione del proprio debito, a valutare cosa fare della propria partecipazione nella rete nata come Area Banca da Area Consult Sim per iniziativa di due promotori “storici” come Federico Tralli e Gianfranco Bertoli e poi passata come Bipielle.net per la stagione turbolenta della Banca Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani. Così come concreta appare la possibilità che le attività bancarie finiscano al Banco Popolare, socia per poco meno del 20% in Banca Network assieme alla stessa Sopaf, ad Aviva (tramite appunto Petunia Spa) a Federico Tralli (cui fa ancora capo un residuo 0,051%) e al gruppo De Agostini (socio al 15%), quest’ultimo da almeno sei mesi indicato come prossimo all’uscita dall’azionariato dopo il contenzioso apertosi con la società dei fratelli Magnoni proprio per il mancato rispetto degli accordi del 2007 che prevedevano che Sopaf si sarebbe fatta carico di trovare un acquirente per la quota del gruppo novarese nel momento in cui questo avesse voluto uscire dalla compagine sociale.

Così non è stato finora anche se Sopaf lo scorso aprile, nell’approvare il bilancio 2010, ha ribadito che per Banca Network Investimenti è allo studio “un piano esecutivo di riorganizzazione industriale e societaria che assicuri la corretta valorizzazione del patrimonio aziendale, ferme restando le necessità di patrimonializzazione richieste dagli obblighi di legge”. Sempre ad aprile Sopaf ha concesso alla compagnia britannica un’opzione “call” sul 45% di Area Life e sul 45% di Aviva Previdenza. Uno “spezzatino” che vedrebbe dunque le attività assicurative confluire sotto Aviva e quelle bancarie sotto l’istituto guidato da Pier Francesco Saviotti, mentre la rete di promotori guidata da Carmine Acquaviva dovrebbe confluire in una nuova Sim. Un piano che ancora deve ricevere il via libera della Banca d’Italia, ma che potrebbe essere cambiato in corso d’opera se i contatti “informali” tra Banca Network e il gruppo Intesa Sanpaolo, che dopo il rinvio sine die dell’Ipo di Banca Fideuram (e tanto più dopo il tutto esaurito fatto registrare dall’aumento da 5 miliardi di euro appena concluso) ha più volte fatto sapere di voler valutare ogni “opportunità di mercato” si presentasse per rafforzare la struttura guidata da Matteo Colafrancesco, dovessero tradursi in qualcosa di più che un semplice esame di un dossier tra i tanti possibili. Mettere le mani sugli oltre 600 promotori di Banca Network potrebbe comunque rivelarsi un’operazione meno semplice di quanto non fu conquistare Banca Sara, dato il nucleo storico dei Pf in questione, uomini che hanno vissuto l’intera avventura societaria dai tempi di Tralli e Bertoli ad oggi, continua ad appoggiare l’ipotesi di dar vita a una nuova Sim autonoma. Molto dipenderà dall’atteggiamento del manager più apprezzato dai promotori di Banca Network Investimenti, Carmine Aquaviva (già manager per Axa Sim, dove era uomo di fiducia dell’ex amministratore delegato di Banca Network Investimenti, Marco Sturmann) oltre che, ovviamente, dall’appetibilità dell’eventuale offerta che Banca Fideuram o altri soggetti dovessero avanzare. Ma quanto potrebbe valere, in concreto, la società? Se per Banca Fideuram Corrado Passera non è mai voluto scendere sotto una valutazione di 3 miliardi di euro a fronte di 71,7 miliardi di euro di masse amministrate ed oltre 3.100 promotori, per Banca Network anche applicando una valutazione prudenziale (attorno al 2,5%-3% del patrimonio amministrato contro il 4% abbondante della valutazione di Fideuram) si arriverebbe a un centinaio di milioni di euro, equivalente a una valutazione implicita di circa 160-170 mila euro a promotore. Il rischio è che i migliori Pf, come sempre in questi casi, potrebbero mettersi sul mercato spuntando valutazioni superiori, indebolendo con la propria uscita la loro ex azienda. Forse per questo i protagonisti della vicenda, pur contattati da Bluerating, mantengono il più rigoroso riserbo e preferiscono non commentare ulteriormente.

Si muove il risparmio gestito

Tutti gli esperti sono concordi: complice l’entrata in vigore anche in Italia della direttiva europea Ucits IV, che consente alle Sgr autorizzate ad operare in uno stato membro dell’Unione Europea di gestire fondi comuni autorizzati in un altro stato membro senza dovere fisicamente installare una succursale in ogni paese in cui opera, il mercato italiano del risparmio gestito è destinato ad andare incontro ad un nuovo riassetto che vedrà molti operatori uscire dal mercato a seguito di fusioni e acquisizioni. A fine marzo, del resto, secondo i dati Assogestioni alle gestioni collettive faceva capo un patrimonio gestito complessivo di 495,673 miliardi di euro, per il 75,1% (372,283 miliardi) facente riferimento a gruppi italiani e per il restante 24,9% (123,39 miliardi) a gruppi esteri, percentuale già in crescita rispetto al 24,3% (121,848 miliardi su 501,574 miliardi complessivi) di fine 2010. Se alle gestioni collettive si sommano anche le gestioni di portafoglio i numeri crescono ma la musica non cambia: ai gruppi italiani faceva capo a fine maggio un patrimonio complessivo di 788,892 miliardi (il 78,4% sui 1.006,454 miliardi complessivi), agli operatori esteri i restanti 217,472 miliardi (il 21,6%), mentre tre mesi prima gli italiani gestivano 792,296 miliardi (78,7%) dei 1.007,029 miliardi complessivi e gli esteri i restanti 214,76 (21,3%).

Restringendo l’analisi ai soli fondi comuni emerge ancora più chiaramente il perdurare della crisi di questi strumenti, che a fine maggio vedevano ridotto a 447,982 miliardi il loro patrimonio complessivo (di cui il 76,1% in mano a gruppi italiani e il 23,9% a gruppi esteri), stabile rispetto ad aprile ma in calo rispetto a fine 2010, quando gli Oicr aperti gestivano un patrimonio di 460,443 miliardi di euro, nonostante una raccolta netta positiva nei primi cinque mesi dell’anno per gli Oicr di 2,91 miliardi da parte delle reti di promotori operanti sul territorio nazionale secondo i dati Assoreti. Segno che gli operatori italiani continuano a soffrire una progressiva erosione della quota di mercato sotto l’azione degli operatori internazionali oltre che una progressiva disaffezione verso lo strumento dei fondi comuni. Un fenomeno sul quale incide certamente anche l’affermarsi progressivo di un modello distributivo basato su un’architettura aperta, in cui son spesso i fondi esteri a farla da padrone, come pure il ridursi delle possibilità di risparmio attuali (e prospettiche, secondo l’ultima indagine Istat sulla fiducia dei consumatori) delle famiglie italiane, in particolare quelle a reddito medio o medio-basso, che tipicamente rivolgevano la propria attenzione proprio ai fondi comuni (oltre che ai classici titoli di stato e all’immobiliare).

In un mondo dove gli investimenti in tecnologia e risorse umane fanno la differenza sia per quanto riguarda la capacità di produrre performance in grado di soddisfare le aspettative della clientela sia per quanto riguarda la possibilità di proporre un modello distributivo al passo coi tempi, in grado dunque di rispondere al meglio alle esigenze complessive del cliente, per gli operatori di minori dimensioni la competizione appare sempre più ardua, a meno di non trovare nicchie di mercato particolarmente redditizie e di avere la capacità di presidiarle. Così non deve stupire il fatto che periodicamente si registrino acquisizioni di operatori di minori dimensioni da parte dei maggiori player, mentre sullo sfondo resta la più volte ventilata creazione di un “campione nazionale” in grado di tener testa ai maggiori gruppi mondiali. In questo senso la sfida resta ardua: a fine maggio il gruppo Intesa Sanpaolo gestiva un patrimonio di 113,786 miliardi in Oicr aperti, Pioneer Investments (gruppo UniCredit) arrivava poco sopra i 63 miliardi, AM Holding (nata dalla fusione di Anima Sgr e Prima Sgr) era a quota 29,843 miliardi e il gruppo Mediolanum a 20,317 miliardi, mentre al gruppo Ubi Banca facevano riferimento 20,292 miliardi di euro in gestione. I primi cinque operatori italiani raccoglievano dunque il 55,2% dell’intero patrimonio gestito dai fondi comuni tricolori, ma restavano a distanze siderali dai loro competitor internazionali e iniziavano a sentire il fiato sul collo di uno di essi, il gruppo Bnp Paribas, che con 14,935 miliardi di euro in gestione è ormai il sesto maggior gruppo del risparmio gestito operante in Italia (subito davanti ad Arca, Azimut e al gruppo Generali). Così l’interrogativo ricorrente non è più se qualcuno passerà la mano e cederà le proprie attività a qualche operatore di maggiori dimensioni, italiano o estero che sia, ma quando sarà dato il prossimo annuncio. La sensazione è che manchino pochi mesi, forse poche settimane, prima di qualche novità. Anche perché sullo sfondo resta per molti gruppi la necessità di procedere a ristrutturazioni per rafforzare i propri ratios patrimoniali, un fenomeno che comporterà nuove cessioni e chiusure, con inevitabili riflessi non solo sulle Sgr ma anche sul mondo delle reti distributive.

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