Il dilemma è quello della parcella

Con la Mifid e il suo recepimento in Italia c’è stata la fissazione di due pilastri della disciplina dei servizi di investimento in strumenti finanziari: da un lato, la prescrizione che la consulenza è un servizio di investimento, anche se l’espletamento in servizi finanziari non è necessariamente conseguente alla consulenza, ma per la sua idoneità a indirizzare gli investimenti, e dall’altro la prescrizione che gli intermediari di collocamento possono prestare consulenza remunerata anche per il tramite dei promotori finanziari. Anche per il tramite di promotori gli intermediari possono quindi sia collocare sia effettuare consulenza, servizi su un piano di pari dignità.

Ma la pari dignità è esclusa da un dato evidente: la consulenza può essere effettuata anche da persone fisiche e persone giuridiche apposite che non possono effettuare altra attività di servizi di investimento. Tali soggetti possono essere remunerati solo con provvigioni per l’attività di consulenza, mentre gli intermediari e i promotori possono esser remunerati sia per la consulenza sia per il collocamento ed inoltre possono ricevere dalle imprese in cui i clienti investono sulla base della consulenza le retrocessioni di parte delle commissioni delle stesse imprese dall’investimento finale. Quindi, solo i consulenti appositi vengono denominati consulenti indipendenti, di modo che gli intermediari e i promotori vengono ad essere derubricati quali consulenti non ottimali in quanto destinati ad altre incombenze che possono pregiudicare la consulenza.

Si infrange così irrimediabilmente la coerenza dell’impianto normativo italiano, estremamente innovativo nel tutelare e salvaguardare professionalità, e che inizialmente sembrava recepito dalla Mifid, che in realtà lo ha distorto. L’impianto normativo italiano si basa sulla circostanza che l’attività di distribuzione dei prodotti e dei servizi finanziari è riservata agli intermediari autorizzati al pari degli altri servizi di investimento, da un lato, e dall’altro che gli intermediari possono operare, nella modalità più insidiosa per i risparmiatori in quanto sorprendente, quella dell’offerta “fuori sede”, solo avvalendosi di persone fisiche in possesso di determinati e rigorosi requisiti di professionalità e sulla base di ciò iscritte ad albo sotto il controllo pubblico, i promotori finanziari.

Chiara è la distinzione di ruolo tra intermediari, unici responsabili della politica commerciale, e promotori finanziari, collaboratori qualificati degli intermediari: ciascun intermediario può operare per più società prodotto, mentre ciascun promotore finanziario può operare per un solo intermediario. In tal modo, l’ordinamento intende promuovere la tutela del risparmio valorizzando al massimo il ruolo ben distinto, sia dell’impresa, sia del suo collaboratore qualificato, caricando entrambi di uno statuto comportamentale caratterizzato da obblighi e quindi da una forte natura deontologica: statuto quindi fissato nell’interesse dei risparmiatori ma che per la propria effettività richiede la salvaguardia del ruolo rispettivamente dell’impresa e del collaboratore qualificato.

Si è quindi respinta la proposta, di 15 anni fa, dell’ABI di consentire alle banche di agire “fuori sede” anche senza promotori; respingendo tale proposta, non solo si è voluto assicurare parità di regole tra operatori, ma si è inteso non prescindere dal ruolo sia dell’impresa sia del collaboratore qualificato. E quanto autorevoli commentatori hanno lamentato una normativa “bancocentirca”, in quanto tale da favorire il ruolo primario delle banche, idonee ad operare in tutti i settori, secondo il modello della “banca universale” e non della specializzazione di operatività tra imprese, hanno trascurato che le banche in tanto sono abilitate all’operatività universale in quanto rispettino le regole di ciascun settore ed anche ciascun ruolo.

Adesso, con la MiFID, tale sistema viene cancellato, o meglio, pur mantenuto nella forma, viene “devitalizzato” nella sostanza. Viene infatti mantenuto per tutti i servizi di investimento, tranne che per la consulenza che è quello principale, che indirizza gli altri: o meglio, per la consulenza viene sì mantenuto, non quale unico sistema, affiancato da bensì ma con sistema alternativo basato su persone fisiche che svolgono il ruolo di intermediari: e tale sistema è quello che assicura l’indipendenza mentre quello tradizionale, non assicurandola , è di livello inferiore e quindi di serie B.

Non si concorda con tale impianto, quale risultante dalla modifica “MiFID”, in quanto si basa sulla non compatibilità, almeno a livello ottimale, tra consulenza e distribuzione , mentre si ritiene che tale compatibilità sussista, con la consulenza che diventa sempre più professionale se acquisisce esperienza per la realizzazione delle scelte di investimento, come la consulenza legale che diventa sempre più concreta se il consulente è anche avvocato ed è quindi consapevole ed esperto sulla prassi dei Giudici.

Che la consulenza si faccia condizionare dalla distribuzione e dagli interessi di distribuzione, diventando non adeguata in quanto deviata rispetto all’interesse del cliente , è altro problema, che attiene non alla fisiologia ma alla patologia dello svolgimento dei due servizi. Qui bisogna intervenire stabilendo criteri ottimali di consulenza, impedendo tali condizionamenti ed assicurando quindi che il promotore per conto dell’intermediario fornisca un reale valore aggiunto, tale da rendere irrilevante il legame con i prodotti collocati. In tale ottica, si può superare l’obiezione che la proposta di un prodotto del proprio intermediario piuttosto che di uno qualunque del mercato derivi dall’appartenenza del prodotto al proprio intermediario e quindi dal regime provvigionale privilegiato con alterazione l’attività di consulenza.

La risposta è infatti che solo l’appartenenza della consulenza allo stesso soggetto che effettua distribuzione e a monte gestione assicura la presenza di un flusso continuo ed ottimale di informazioni, idoneo a percepire nella sostanza e nell’applicazione pratica le strategie e l’andamento degli emittenti i titoli in cui si investe, in modo la scelta del singolo titolo da parte del cliente risponde ad un processo in cui il singolo titolo è oggetto di impianto prima , poi monitoraggio ed implementazione, e infine proposta al singolo cliente: in definitiva, la consulenza da parte di chi è anche collocatore è ammessa se l’intermediario fornisce al cliente, per il tramite del promotore, dei flussi costanti di informazioni che spiegano l’evoluzione del titolo e le strategie atte al suo andamento, evoluzione e strategie che ne consigliano l’acquisto da parte del cliente destinatario della consulenza. In tale ottica, la responsabilità del consulente è aggravata, perché tali da investire ogni aspetto non positivo del titolo, anche se di evidenza non palmare.

Il promotore finanziario, in possesso di informazioni capillari sulla strategia di intermediazione del proprio gruppo, può quindi indirizzare al meglio il cliente affinché questi acquisca il titolo più adatto alle proprie esigenze. Il cerchio può essere chiuso tenendo conto che il regime provvigionale della consulenza, rappresentato da commissioni continuative e eventualmente di commissioni di “performance, vede un rapporto proporzionale tra remunerazione dell’intermediario e del promotore e andamento positivo del patrimonio del cliente, andamento positivo che può colmare il condizionamento creato dal rapporto di collocamento.

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