Impellizzeri (Copernico sim) dice la sua sull’art. 372 del Codice civile

“L’articolo 372 del Codice civile limita l’intervento del Giudice Tutelare a poche e ristrette forme d’investimento per i capitali detenuti da un minore, salvo deroghe specifiche per motivi particolari”. Questa la riflessione di Furio Impellizzeri, Vicepresidente di Copernico SIM, che spiega come “titoli dello Stato, buoni postali fruttiferi, obbligazioni di istituti autorizzati al credito fondiario e immobili siti sul territorio dello Stato siano gli strumenti consentiti per salvaguardare gli interessi del tutelato”.

Certo, prosegue, “sarebbe sin troppo facile oggi essere critici nei confronti dei titoli dello Stato ma, come ho avuto modo di sostenere durante un convegno sull’Amministrazione di Sostegno, che si è tenuto recentemente a Trieste presso la Corte di Assise d’appello, organizzato e moderato dalla dottoressa Gloria Carlesso, il tema dovrebbe essere approfondito al di là della situazione congiunturale attuale”.  “E’ evidente che il legislatore, nel 1942, non potesse ipotizzare la globalizzazione finanziaria e la circolazione dei capitali. Sta di fatto però che il Giudice Tutelare, che autorizza un impiego esclusivamente in titoli dello Stato, costringe in primis a rinunciare ad uno dei principi cardine per la sicurezza negli investimenti, la diversificazione. Avere un unico interlocutore quale debitore non è certamente un elemento di garanzia.

Priva inoltre della possibilità di beneficiare delle innumerevoli opportunità d’investimento che si presentano al di fuori dei nostri confini e sclerotizza in un unico asset di strumenti finanziari il minore, che, con tutta probabilità, si trova ad avere dinanzi a sé un orizzonte temporale piuttosto lungo. La ratio del 372 è quella di fornire rendimenti certi e garanzie. Mi sembra opportuno però che il Giudice Tutelare valuti come un investimento con un rendimento nominale (pur sempre positivo) inferiore all’inflazione, produca un rendimento reale negativo. Non sono lontani i tempi in cui abbiamo avuto aste di Bot addirittura con rendimenti nominali negativi! L’unica certezza rimane quella di depauperare negli anni il patrimonio e di perdere potere di acquisto. Un’alternativa plausibile potrebbe essere quella di beneficiare della considerevole diversificazione offerta dai fondi comuni d’investimento. Sebbene in Italia risultino spesso inefficaci, in quanto in bassissima percentuale riescono a sovraperformare il benchmark, non è esclusa la possibilità di reperire anche sul mercato internazionale degli ottimi strumenti.

Brillanti per l’eccellenza della gestione e per i loro rendimenti rapportati a volatilità e rischio. Bisogna essere in grado di riconoscerli e reperirli. Cosa non facile, certamente. Il mercato italiano è prigioniero di un fantasma che si chiama “conflitto di interesse” e che non consente facilmente all’investitore di trovarsi di fronte ad un interlocutore libero di scegliere ciò che di meglio offre il mercato. E’ necessario rivolgersi a chi non è condizionato dalla vendita dei prodotti di bandiera e non è vittima dei budget di scuderia. Vale la pena soffermarsi su un altro aspetto che spesso può risultare addirittura controproducente. Quello della legittimazione alla sottoscrizione delle obbligazioni emesse dagli istituti bancari. Qui ci troviamo di fronte ad un fenomeno tipicamente italiano. Almeno a giudicare da un corposo studio redatto dalla Consob. Infatti l’organo di sorveglianza ha ritenuto di dover intervenire per cercar di individuare le ragioni per le quali questo strumento risulta collocato nel nostro Paese in modo così massiccio: ben cento volte più che in Inghilterra e dieci volte più che in Spagna ed in Francia.

Nel quaderno numero 67 del luglio 2010 la Consob specifica che solo il 9% delle obbligazioni in circolazione risultano liquide in quanto quotate in un mercato regolamentato. Il loro rating inoltre risulta generalmente inferiore a quello di un titolo dello Stato. A fronte di due minus di tale peso sembra ovvio che il risparmiatore dovrebbe pretendere un rendimento più elevato rispetto ad un titolo di Stato equipollente. Il paradosso purtroppo è che quasi sempre avviene esattamente il contrario. La Consob attribuisce le ragioni di tale irrazionalità certamente a difficoltà cognitive, che non consentono la chiara comprensione del rapporto rischio rendimento.

Un peso ancor maggiore, quale causa di tale comportamento autolesionista, lo si attribuisce al principio della “familiarità”; per cui si tende a recepire come buono lo strumento offerto da un soggetto noto. Resta da chiedersi se chi colloca questi strumenti non conosca affatto questo documento, peccando in termini di professionalità, o, semplicemente, pur essendone a conoscenza, lo ignori bellamente calpestando l’interesse del cliente allo scopo di privilegiare quello proprio. L’auspicio è che perlomeno da figure autorevoli quali i Giudici Tutelari inizi un’emancipazione di cui poi a cascata beneficerà tutto il mercato.

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