La regola “unisex” fa arrabbiare gli assicuratori

INTERVENTO DELL’AUTORITA’ – L’Ordine degli attuari chiede chiarimenti in merito alla cosiddetta regola unisex, che metterà sullo stesso piano uomini e donne nelle assicurazioni vita e nella previdenza complementare. L’Ordine dei professionisti cui sono affidati i calcoli per la definizione delle tariffe assicurative “solleva dubbi interpretativi sulla normativa e sollecita l’intervento delle Autorità competenti affinchè vengano chiarite le modalità applicative sotto il profilo giuridico e operativo”, si legge in una nota diffusa dallo stesso Ordine.

LA NUOVA NORMATIVA – In seguito a una sentenza della Corte di Giustizia europea, dal 21 dicembre 2012 la regola unisex dovrà essere applicata in tutti gli Stati senza eccezioni o deroghe. Dovrà quindi essere attuata anche in Italia la parità di trattamento nella fornitura dei servizi assicurativi. Parità che un’altra direttiva comunitaria, la 2006/54/CE, ha imposto anche per i trattamenti pensionistici.

DUBBI INTERPRETATIVI
– Ma, si chiede quali sono nello specifico le polizze o i prodotti previdenziali che dovranno sottostare alle nuove regole? Nel documento emanato per i propri iscritti, l’Ordine ritiene che “per contratti/convenzioni stipulati ex novo o che vengono modificati si possa far riferimento al 21 dicembre 2012 : da quella data in poi si dovrebbe applicare la parità uomini-donne. Per i contratti preesistenti e per quelli che prevedono il tacito rinnovo l’applicazione della nuova regola non dovrebbe invece essere obbligatoria”. Più complessa appare la valutazione per i contratti collettivi: per chi si iscriverà dopo il 21 dicembre andranno mantenute le vecchie regole o si dovranno applicare le nuove? Secondo l’Ordine degli Attuari, la prima soluzione “è migliore dal punto di vista gestionale, mentre la seconda sembra più allineata sotto il profilo formale-giuridico”.

I RISCHI PER LA PREVIDENZA – I maggiori dubbi nascono però per la previdenza complementare, continua l’Ordine, perché “la regola unisex appare difficilmente applicabile in maniera univoca alle varie forme esistenti sul mercato”. In particolare il rischio è che, “in mancanza di un’interpretazione univoca, si possano avere sul mercato modalità applicative diverse. Fatto che potrebbe comportare effetti controversi: le scelte degli iscritti potrebbero essere dettate più dall’appartenenza a un determinato sesso che dall’affidabilità o dalle migliori condizioni in termini di costi o di garanzie offerte da chi eroga la rendita”. Sinora le prestazioni pensionistiche complementari sono state diversificate per sesso in funzione di dati statistici storici, che mettono in evidenza una diversa rischiosità per gli uomini e per le donne. Il fattore sesso ha quindi avuto un’incidenza significativa sulla quantificazione del rischio. Non è da escludere, ipotizza l’Ordine degli attuari, che “in un’ottica di perseguimento della parità di trattamento non si possa arrivare a prestazioni indistinte o medie, ridefinendo gli equilibri finanziari sottostanti”.

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