Lasciate che i piccoli advisor vengano a me

Un esodo biblico o quasi è quello che attende centinaia di piccoli portafoglisti non più graditi alle grandi reti di consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede. Le prime avvisaglie di un fenomeno che si annuncia imponente sono state registrate da Bluerating.comcon la pubblicazione lo scorso 21 marzo della lettera disperata di un anonimo cf di Sanpaolo Invest che denunciava l’epurazione di 428 cf di portafoglio fino a 5 milioni di euro o inferiore, rientranti nella categoria degli improduttivi (si veda qui la notizia). Nella stesso articolo riportavamo anche la replica della società mandante che scriveva genericamente di normali politiche di ottimizzazione.

Al botta e risposta sono seguite decine di commenti di cf, per un articolo che alla fine è diventato
il più letto nella storia ventennale del nostro sito, a dimostrazione
di quanto sia sentito il problema dei piccoli portafoglisti nel mirino delle azioni di razionalizzazione dei grandi player. Il fenomeno, forse inevitabile, è dovuto ai minori margini che la Mifid 2, con le sue richieste di maggiore trasparenza, determinerà per il comparto. In questa sede vogliamo affrontare però un tema collegato: che strade si aprono oggi ai tanti professionisti messi alle porte dalle reti (i cf da 5 milioni di euro) o che domani potrebbero fare la stessa fine (i professionisti fino a 10 milioni di euro). Ecco le due vie maestre che abbiamo individuato perché gli epurati ritornino a sentirsi dei consulenti apprezzati.

PRIMA OPZIONE: LA PICCOLA SOCIETÀ – Ai piccoli portafoglisti in uscita dai grandi player potrebbero fare ponti d’oro le piccole reti. La ragione la spiega Roberto Zanin, direttore commerciale di Alpenbank, l’istituto austriaco con sede italiana a Bolzano che vuole mettere proprie bandierinesu tutto il territorio nazionale. “Capisco che società che hanno migliaia
di consulenti debbano compiere operazioni di razionalizzazione delle proprie reti e che lo facciano partendo da dati oggettivi. Comprensibile e se vogliamo inevitabile. E in quest’ottica ritengo che la Mifid 2 funzioni come una enorme foglia di fico per coprire strategie legittime. Ora tutto ciò che è difficilmente digeribile lo si giustifica con lo spauracchio della Mifid 2, approfittando del fatto
che pochi l’hanno letta e ancora meno l’hanno approfondita. Meno comprensibile è il motivo per il quale alcuni consulenti sotto soglia rimangano in queste grandi reti inevitabilmente spersonalizzanti. Non è mai stato fatto mistero da alcuno che le logiche massive penalizzano i consulenti con portafogli minori e che questi, per poter crescere serenamente, forse dovrebbero rivolgersi a società più piccole che hanno visioni e progetti diversi”. Zanin smentisce
il valore dell’equazione piccolo portafoglio-bassa qualità.
“Ritengo anche improprio sostenere che l’eliminazione dei consulenti con basso portafoglio venga fatta per elevare il livello qualitativo della rete nell’interesse del cliente. Si dovrebbe dimostrare che i consulenti con portafogli grandi necessariamente e inevitabilmente seguano con maggiore cura e professionalità i clienti e ciò nella mia esperienza non si verifica sempre”.
“Dobbiamo anche considerare”, continua il direttore commerciale di Alpenbank, “che discutiamo di persone e non di freddi numeri
e che si tratta di professionisti
che una struttura commerciale
ha selezionato e spesso anche vincolato con patti di stabilità, cosa che noi per principio non facciamo né con consulenti con grande portafoglio, né con quelli con piccolo. Cerchiamo di costruire la nostra rete con persone di qualità e che facciano questo lavoro in modo onesto e continuativo” conclude Zanin. “Se non crescono, come direttore commerciale mi pongo il problema se ho fatto in modo che abbiano avuto prodotti adeguati
da collocare con un pricing
 onesto. E cerco di parlare loro direttamente senza filtri di troppe persone coinvolte, cercando di rendere questo un lavoro normale. Sembra un obiettivo banale ma è un risultato sempre più difficile da raggiungere o mantenere”.

Sul tema dice la sua anche Maurizio Vitolo, fondatore
di Consultinvest, realtà della consulenza finanziaria che intende diventare un polo di attrazione per i piccoli portafoglisti in crisi di rapporti con i grandi player.
“Da sempre”, afferma Vitolo, “abbiamo aggregato gruppi o singoli cf rispettando le loro abitudini. Non fissiamo budget e non abbiamo riunioni del lunedì, abbiamo ottimi prodotti della nostra sgr ma non imponiamo a nessuno di liquidare il portafoglio per trasferirsi. Abbiamo accordi con oltre 70 case d’investimento
e quindi per venire da noi
è sufficiente il cambio di collocatore. Non privilegiamo i portafogli”, aggiunge il patron di Consultinvest, “ma le persone,
e rispettiamo tutti. È importante che il cf lavori per realizzare il budget che gli consente di vivere come desidera, nell’interesse primario del cliente; se i clienti
e i cf sono soddisfatti lo è anche Consultinvest. Ci interessano le persone, purché di comprovata professionalità”.

SECONDA OPZIONE:
LA CONSULENZA FEE ONLY –Un’altra opzione per gli esodati dalle reti, forse più coraggiosa, potrebbe essere quella di saltare
lo steccato per approdare alla consulenza indipendente, senza dover più dare conto a una mandante ma al solo cliente.
C’è chi come Luca Mainò, fondatore di Consultique e portavoce di Nafop, l’associazione di categoria dei fee only, sostiene che diventare consulenti autonomi (il nome preso dagli
ex consulenti indipendenti nel
nuovo Albo unico dei consulenti gestito dall’Ocf, n.d.r.) sia una scelta di vita che può presentare diversi vantaggi, innanzitutto economici, abbracciando l’attività indipendente.

Quanto guadagna un fee only? Come raggiunge il break-even della nuova attività? Quanto
si riesce a fatturare con uno studio professionale o una Scf? “Un singolo professionista che presta il servizio di consulenza indipendente deve creare un proprio business plan e pianificare le azioni da mettere in atto per l’avvio e lo sviluppo dell’attività”. Mainò propone uno schema esemplificativo (vedi infografica qui sotto, n.d.r.) su investimento iniziale, costi e ricavi dell’attività di consulente fee only.

“Un professionista fee-only con un Aua (Asset under advisory,
n.d.r.) di 10 milioni di euro, può fatturare 70-80mila euro e se il portafoglio del consulente fosse caratterizzato da clienti con profili di rischio più elevati, si potrebbe arrivare a un fatturato complessivo di 100mila euro”, continua il portavoce Nafop, che aggiunge: “Nel calcolo degli onorari, uno

dei parametri chiave è il tempo dedicato al cliente che, secondo la nostra esperienza ultradecennale nella consulenza indipendente, cresce con l’incremento delle raccomandazioni inviate, la cui numerosità è più significativa per i profili dal rischio più elevato.

Se il professionista avesse un portafoglio di 5 milioni di euro, in proporzione potrebbe generare un fatturato di 40-50mila euro, a cui si potrebbero aggiungere altri servizi specifici come la consulenza a piccole aziende, le docenze in corsi di formazione, le perizie tecniche”. Mainò inoltre ricorda che “la
legge prevede che al massimo entro dicembre 2018 parta il nuovo Albo: i consulenti abilitati all’offerta fuori sede con almeno due anni di esperienza potranno optare per la libera professione sganciarsi dalle mandanti e diventare consulenti autonomi
e costituire la propria società insieme ad altri colleghi chiedendo semplicemente l’autorizzazione all’Ocf e facendosi trasferire in una delle due nuove sezioni. “Gli ex pf che hanno sempre desiderato fare i consulenti”, conclude il portavoce dell’associazione dei fee only, “ora possono realmente coronare il proprio sogno. Ricordo che Nafop ha creato un servizio di supporto legale e tecnico per assistere
gli associati nell’iscrizione alle nuove sezioni dell’Albo unico dei consulenti finanziari, per esempio con la definizione di modelli
per la struttura organizzativa, di controllo, di procedure e policy interne”.

Del tema ci siamo occupati anche in questo articolo (leggi qui) che prende in esame in particolare la realtà di 4Timing Sim.

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