Consulenti, certificazione da valorizzare

L’avvento della direttiva Mifid 2 
è un’occasione importante per migliorare la qualità del servizio di consulenza finanziaria. Ne è convinto Emanuele Carluccio (nella foto), presidente dello Standard Qualification Committee dell’European Financial Planner Association (Efpa).

La Mifid 2 ha cambiato profondamente il quadro normativo in cui si muovono i consulenti finanziari. Quali saranno a suo avviso le conseguenze più importanti per il mercato italiano?


L’aspetto più rilevante delle novità introdotte dalla Mifid
2 non fa tanto riferimento,
come inizialmente si dava forse per scontato, all’introduzione
 del servizio di consulenza reso
su base indipendente, con il passaggio obbligato dalla logica della remunerazione basata sui rebate alla logica della parcella esplicita pagata dal cliente per il servizio ricevuto, quanto piuttosto alle conseguenze indotte dalla product governance e all’obbligo
di maggiore trasparenza sui
costi relativi sia ai prodotti, sia
al servizio di consulenza. Per la prima volta infatti in occasione della reportistica relativa al servizio ricevuto nel corso del 2018, i clienti toccheranno con mano sia i costi – in tutte le loro componenti: commissioni di gestione, d’ingresso e di uscita, di negoziazione, di collocamento – relativi ai prodotti che erano abituati ad acquistare senza avere spesso contezza puntuale del relativo pricing, sia soprattutto la ripartizione di questi costi per la remunerazione dei diversi attori coinvolti nella filiera della consulenza. Sicuramente costituirà un motivo di sorpresa il prendere atto del fatto che il mondo della produzione trattiene solo una porzione marginale del costo dei prodotti di risparmio gestito e che il mondo della distribuzione/consulenza riceve una remunerazione che in qualche modo deve trovare una giustificazione nella qualità del servizio di diagnosi, di analisi, di proposta e di monitoraggio
e controllo anche nella fase successiva all’erogazione del consiglio. L’auspicio è che questa presa di coscienza da parte della clientela della distribuzione dei valori in gioco spinga tutta l’industria alla consapevolezza della necessità di dover riempire
di contenuti e di qualità il servizio offerto e che il tutto non si riduca a un mero aggravio di costi informatici inevitabilmente indotti dalle nuove norme senza alcun innalzamento della qualità del servizio offerto.

A livello europeo in che modo i vari Paesi hanno recepito le linee guida Esma sulle conoscenze e 
le competenze? Quali sono le principali evidenze emerse dalla vostra ricerca in merito?

Nonostante la logica della stesura di norme e di linee guida elaborate, prima, a livello europeo per essere implementate poi a livello locale dalle diverse authority avesse come fine ultimo il tentativo di arrivare a un maggior grado di standardizzazione delle regole del gioco, permangono ancora ampi spazi di miglioramento. Il caso delle linee guida dell’Esma in materia di conoscenze e competenze può costituire al riguardo un esempio evidente della ancora eccessiva difformità di comportamento assunto da parte dei singoli regulator.  A fronte infatti delle linee guida Esma, che in modo semplice e chiaro avevano cercato di far capire come la maggior competenza del personale addetto al servizio
di consulenza in materia di investimenti si sarebbe poi inevitabilmente tradotta in un maggior grado di tutela degli interessi della clientela, si è registrata una assoluta difformità
di interpretazione delle linee guida stesse da parte delle diverse autorità nazionali. C’è chi infatti ha voluto difendere in modo rigoroso l’assoluta separatezza dei ruoli
tra chi si occupa di formazione
e chi si occupa di certificazione delle competenze acquisite – in modo tale da ridurre o eliminare gli inevitabili conflitti di interesse che sussistono nel soggetto che eroga formazione e che è chiamato anche a valutare il successo o meno della formazione erogata – e chi, al contrario, ha consentito agli intermediari di portare in casa sia la formazione, sia la certificazione, con un rischio non indifferente di una totale autoreferenzialità.
C’è poi chi ha voluto puntare molto sui titoli di studio acquisiti e sulle conoscenze dimostrate mediante il superamento di prove di esame ad hoc e chi, al contrario, ha accettato di sopperire alla mancanza dei titoli di studio con la valorizzazione dell’esperienza maturata in ambito di consulenza finanziaria, senza però pretendere alcuna prova della qualità e degli esiti pratici di tale esperienza. La ricerca su cui Efpa sta lavorando ha proprio la finalità di offrire
alle authority uno spaccato di questa forte eterogeneità delle soluzioni adottate a livello europeo nonostante si sia partiti tutti dallo stesso documento, le linee guida dell’Esma, che evidentemente al momento dell’adozione a livello nazionale si sono prestate ad una lettura molto diversa e a una loro implementazione estremamente differenziata.

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