Servizi di pagamento, la banca responsabile in caso di frodi informatiche

Domanda. Ho letto di una recente sentenza di Cassazione relativa alle frodi informatiche, in base alla quale la responsabilità sarebbe in prima battuta della banca prestatrice dei servizi di pagamento. E’ così?

A.N., Monza 

Risposta.L’Ordinanza n. 9158 del 12 aprile scorso non è la prima ad esprimere un concetto che è pure assai ben esplicitato nella normativa. La Corte ha sancito che in tema di responsabilità della banca in caso di operazioni effettuate con mezzi elettronici, anche al fine di garantire la fiducia degli utenti nella sicurezza del sistema, è del tutto ragionevole ricondurre nell’area del rischio professionale del prestatore dei servizi di pagamento,Sportello Advisory prevedibile ed evitabile con appropriate misure destinate a verificare la riconducibilità delle operazioni all’effettiva volontà del cliente, la possibilità di un’utilizzazione dei codici di accesso al sistema da parte dei terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo. In pratica spetta all’intermediario provare il dolo o la colpa grave del cliente, quest’ultima definita (Cassazione 19/11/2001 n. 14456) come “un comportamento consapevole dell’agente che, senza volontà di arrecare danno agli altri, operi con straordinaria e inescusabile imprudenza o negligenza, omettendo di osservare non solo la diligenza media del buon padre di famiglia, ma anche quel grado minimo ed elementare di diligenza generalmente osservato da tutti”. In caso contrario, il cliente viene risarcito.

Il concetto si applica non soltanto ai pagamenti elettronici ma a tutti i servizi di pagamento perché questi rientrano tutti nell’apposita Direttiva UE recepita poi dai vari Stati-membri. Servizi via internet e relative app, carte di credito e di debito, servizi di money transfer.

Tutto verte, alla fin fine, sulla valutazione delle diverse fattispecie di comportamento del cliente beneficiario dei servizi di pagamento e della possibilità o meno di considerarle appunto  “un comportamento consapevole dell’agente che, senza volontà di arrecare danno agli altri, operi con straordinaria e inescusabile imprudenza o negligenza, omettendo di osservare non solo la diligenza media del buon padre di famiglia, ma anche quel grado minimo ed elementare di diligenza generalmente osservato da tutti”.

 

 

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