Il livello di pricing del settore è ancora troppo alto. È severo il giudizio di Gian Luca Ferrari (nella foto), analista di Mediobanca che segue a Piazza Affari i principali asset gatherer italiani, cioè le società di gestione del risparmio e le banche-reti quotate in borsa. In un report pubblicato a luglio, Ferrari ha evidenziato come il livello di costi medio applicato da queste società è attorno ai 200 punti base (2%) del patrimonio per la clientela di fascia media classificata come affluent e di 170-180 punti base (1,7%-1,8% ) per quella di fascia alta che fa capo al private banking. Ciò significa che un grande investitore con un patrimonio in gestione di 1 milione di euro, paga in termini di commissioni ben 17-18mila euro all’anno. Cosa accadrà a gennaio 2019 quando questi costi verranno messi a nudo nei nuovi prospetti introdotti con Mifid 2? Difficile che la soddisfazione della clientela non subisca un deterioramento soprattutto se, con i mercati finanziari ormai ai massimi e i tassi d’interesse in rialzo, i gestori dei patrimoni non saranno più in grado di garantire performance sostenute. Per questo, secondo Ferrari, non si apre uno scenario particolarmente confortante per le sgr e le banche-reti quotate. Già nel primo trimestre dell’anno, con l’entrata in vigore di Mifid 2, secondo Mediobanca si è vista un’erosione dei margini di profitto di alcune società e un rallentamento della raccolta rispetto al 2017, un anno che verrà probabilmente ricordato come un punto di picco per la crescita del settore. Ma gli effetti della nuova direttiva europea emergeranno appunto con maggior forza nei prossimi anni. Per le reti e i gestori, insomma, l’epoca delle vacche grasse sembra ormai alle spalle.