Anasf, il j’accuse di un consulente finanziario

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di Redazione 19 Settembre 2018 | 08:30
Il duro attacco all’associazione di categoria degli advisor italiani

Alla luce dei profondi cambiamenti imposti dalle due Mifid e in considerazione del significativo impatto economico che esse hanno avuto e avranno ancora per i professionisti del risparmio, oggi sono in molti a chiedersi se l’azione di Anasf nell’ultimo decennio sia stata efficace. Per rispondere serve partire dalle origini.

Le origini
L’associazione nazionale dei consulenti finanziari, di fatto l’unica associazione di categoria che conta circa 12mila consulenti iscritti, circa un terzo di quelli in attività, è stata fondata nel lontano 1977 da veri e propri pionieri, allora denominati consulenti finanziari, con l’obiettivo di ottenere il riconoscimento e la tutela della professione mediante la creazione dell’Albo, poi istituito con la legge numero 1/1991, che ne ha mutato la denominazione in promotori finanziari. Peraltro, non dobbiamo dimenticarlo, si arrivò alla creazione dell’Albo dopo una prima grande battaglia di Anasf sul riconoscimento del cosiddetto management fee, ossia di quella stabile struttura di remunerazione che ha portato l’intera categoria a prosperare fino al 2008, quando la prima Mifid generò, con il “contributo” delle mandanti, una prima sforbiciata alla ricca remunerazione dei promotori.

Immobilismo
Due interessanti coincidenze suscitano curiosità. La prima è che oggi, dopo soli 26 anni dalla legge 1/91, si sia tornati all’antica denominazione di consulenti. La seconda è che proprio il management fee, dopo 30 anni, venga messo sotto attacco dalla Mifid 2, anche questa “calata dall’alto”, cioè non generata da istanze dei consumatori, come la prima. Eppure la nuova normativa ha richiesto anni di studio e step vari, che certamente avrebbero consentito ad Anasf di svolgere un incisivo ruolo di tutela dei propri iscritti, che invece si è rivelato quasi inesistente. Non sappiamo il perché di questo immobilismo: forse l’associazione dei consulenti ritiene che chi guadagna bene, lavorando però anche 15 ore al giorno, non sia poi così meritevole di tutela collettiva, o “sindacale”, come un metalmeccanico o un quadro bancario? (…). Anasf sulla carta svolge una azione di rappresentanza degli interessi della categoria presso governo, Parlamento e istituzioni, e dialoga con la Consob su tutti gli aspetti di regolamentazione dell’attività dei consulenti finanziari, partecipando attivamente alla gestione dell’organismo unico dei consulenti. Quindi, per via della sua rappresentatività diffusa, dovrebbe essere in grado di contrapporre alle controparti sociali una forza notevole su tutte le questioni che interessano gli iscritti.

Troppi eventi negativi
Nella realtà, dalla fine degli anni ’90 a oggi, tutti noi abbiamo assistito a una serie di avvenimenti negativi per la categoria. Più precisamente: taglio dei margini economici alle reti commerciali; eliminazione, prima, e mancata riproposizione della figura del praticante, indispensabile per assicurare il ricambio generazionale della rete; mancata attivazione, presso il Parlamento, per la nascita di un ordine professionale riconosciuto, come quello di altre professioni, ben tutelate, che non necessitano di un diploma di laurea come quello dei geometri. E poi: la mancanza di un contratto unico con garanzie collettive; il trasferimento massivo e non retribuito di mansioni amministrative (come l’elaborazione contratti) dalla sede ai consulenti; la consulenza finanziaria come servizio non autonomo, ma da vendere in esclusiva di prodotto e quindi in regime di conflitto d’interessi rispetto agli strumenti finanziari distribuiti. Il succedersi di questi elementi sotto lo sguardo passivo di Anasf fa di questa un ente per nulla incline alla lotta sindacale e pertanto del tutto inconsistente dal lato della tutela dei diritti di quei consulenti che oggi vengono cinicamente ritenuti scartabili dal sistema delle banche-reti solo perché hanno un portafoglio medio-basso, inferiore a 10 milioni, anche se l’asticella sta per essere alzata a 15 milioni.

Albo affidato ai datori lavoro
Per meglio analizzare un ideale bilancio di lungo periodo dell’attività di Anasf vediamo di ripercorrere alcune tappe importanti, andando a ritroso nel tempo di circa vent’anni. Lo facciamo con un articolo di Italia Oggi (numero 213, pag. 11 del 08/09/1998), dove leggiamo che “la Federpromm-Finass critica la scelta della Consob di far gestire l’albo dei promotori ad Abi, Assoreti e Anasf. Si contesta in particolare la legittimità regolamentare e la fondatezza giuridica di questa scelta (…). L’albo dei promotori deve avere il suo ordine eletto dagli iscritti (…) come avviene per tutti gli altri ordini professionali. La scelta della commissione di vigilanza, presa per giunta senza consultare la Federpromm-Finass, è preoccupante, perché la gestione dell’albo sarebbe affidata ai datori di lavoro, con il pericolo di “ingabbiare e rendere docile” la categoria (…)”. Quelli di Federpromm la sapevano lunga (…) ma furono rapidamente zittiti dagli eventi: la crescita vertiginosa del risparmio gestito, l’affermazione del ruolo del promotore finanziario, l’attrattività della professione (…), guadagni stabili e prosperità economica degli operatori. La festa continuò ininterrotta fino al 2007-2008, ma cessò improvvisamente quando entrò in vigore la prima Mifid. Questa, è bene precisarlo per tutti coloro che ancora oggi si interrogano sulla sua genesi, nacque non tanto per soddisfare le istanze della domanda (e cioè degli utenti, del tutto disinteressati alla questione), ma per ragioni squisitamente politiche provenienti dal lato dell’offerta, le banche, e dalla Ue: bisognava creare un mercato europeo dei capitali integrato in grado di rivaleggiare con quello statunitense. Peccato che con la Mifid 1 si dava però anche un taglio netto alla storia della promozione finanziaria in Italia, facendo dei promotori le “vittime economiche sacrificali” sull’altare della politica internazionale. Infatti agli indubbi vantaggi costituiti dalla maggiore trasparenza per gli utenti e dai maggiori controlli degli organi preposti, si contrapponeva un taglio dei ricavi per le aziende e per i promotori finanziari a causa del divieto, soprattutto per gli strumenti di gestione patrimoniale in Oicr, del raddoppio commissionale, commissioni interne dei fondi più commissioni trimestrali per remunerare la gestione del portafoglio.

Remunerazioni in calo
Il problema è che come in tutti gli eventi sistemici a pagare sono sempre i terminali della catena produttiva. E infatti negli anni immediatamente successivi il sistema delle banche-reti avviava la più grande operazione di razionalizzazione strutturale mai vista prima di allora in Italia, e il peggioramento del conto economico delle banche veniva scaricato in massima parte sui promotori finanziari ai quali, via via che l’informatizzazione dei servizi di elaborazione dati prendeva piede grazie alla tecnologia, venivano trasferite anche tutte le mansioni amministrative di base connesse all’elaborazione dei dati, consentendo alle banche di non assumere più altro personale di sede, ma di riqualificare quello esistente e di consolidare così un miglioramento strutturale del proprio conto economico. Il risultato? Oggi i promotoriconsulenti guadagnano mediamente il 50% in meno rispetto al 31 dicembre 2017 (in rapporto al valore di portafoglio di quell’epoca, n.d.r.), mentre le banche-reti, anche grazie all’azzeramento dei tassi e al boom del risparmio gestito, sono tornate all’utile, con alcune che non lo hanno mai perso, già due anni dopo l’entrata in vigore della Mifid 1. Certo è anche vero che il portafoglio medio dei consulenti è aumentato, per cui il loro tenore di vita non è diminuito, o nella media si è ridotto di poco; bisogna però considerare che oggi, con un portafoglio notevolmente superiore rispetto al 2008, il medesimo tenore di vita sarebbe superiore di almeno il 50%.

Battaglie non portate avanti
Prima di arrivare ai giorni nostri, osserviamo un’ideale tappa intermedia con l’IT Forum di Rimini di luglio 2013. In quel tempo, durante una tavola rotonda organizzata da BancaFinanza, si confrontavano Maurizio Bufi (Anasf), Massimo Doris (Banca Mediolanum), Armando Escalona (Finanza & Futuro), Stefano Grassi (Banca Generali), Mario Incrocci (Banca Mps) e dulcis in fundo Marco Tofanelli (Assoreti). Durante quel forum si parlò di tante cose belle e positive per la categoria.
Tra queste il mandato anche per le società di persone, argomento spinoso dal punto di vista regolamentare ma auspicato da tutti, relativamente al quale Bufi dichiarava “(…) sono temi che fanno parte della nostra proposta al mercato sul contratto di categoria. Richiedono tempo per essere attuati e per questo vanno affrontati tempestivamente” (Il Giornale.it del 15 luglio 2013, n.d.r.). Gli faceva eco Escalona, il quale affermava “(…) dopo anni, finalmente si inizia a parlare seriamente di questo tema (…). Perché il nostro albo è l’unico tra quelli esistenti a cui ci si può iscrivere solo come persona fisica? L’albo degli agenti assicurativi permette l’iscrizione anche alle persone giuridiche nelle forme di spa, srl, sas, e anche nel caso dell’Oam, ci si può iscrivere in entrambe le forme (…). I vantaggi del team sono innumerevoli sia per i professionisti sia per i clienti. All’interno dello studio associato si possono formare i nuovi promotori e dare una risposta corretta al nodo del ricambio generazionale (…)”. Ne avete più sentito parlare? Durante quello stesso forum si parlò anche di una proposta dell’Anasf, e cioè del contratto europeo dei promotori, che avrebbe apportato grandi vantaggi di categoria: semplificazione del sistema di remunerazione, valorizzazione del portafoglio, organizzazione in forma collettiva dell’attività, tirocinio e praticantato, solo per citare alcune delle qualità decantate da Anasf. “(…) Abbiamo lavorato due anni su questa proposta e riteniamo che sia arrivato il momento giusto di presentare al mercato il tema del rapporto contrattuale perché, alla luce della nostra evoluzione, non ha più senso essere agganciati agli agenti di commercio (…)”. Così dicevano, ma la questione è stata dimenticata. E invece quella sarebbe stata l’occasione per Anasf di riagguantare un po’ l’orgoglio perduto e battere i pugni sul tavolo di Assoreti, che invece sull’argomento dichiarava “(…) se c’è un contratto di categoria da siglare ci deve essere una controparte pronta a siglarla (…) non possiamo essere noi, come associazione non abbiamo alcun mandato sulla contrattazione collettiva (…)”. Pertanto la proposta si è arenata fino a oggi, sono passati 5 anni, su un fatto puramente tecnico (la presunta assenza di una controparte) usato strumentalmente un po’ da tutti per lasciare il mondo così com’è. O meglio, così com’era, visto l’arrivo della Mifid 2. In buona sostanza il destino della nostra professione fino a oggi è stato ancorato alla contrattazione tra un’associazione (Anasf), che non è un ordine nazionale, ma un ente senza scopo di lucro, e un’altra associazione (Assoreti) che si dichiara, dal punto di vista giuridico correttamente, incompetente a svolgere la contrattazione collettiva.

Domanda non retorica
Ma allora, se non esiste una sola struttura d’interesse pubblico, come potrebbe essere un ordine nazionale dei consulenti finanziari, in grado di tutelare davvero i consulenti per le questioni d’interesse collettivo, perché dovrebbe continuare a farlo Anasf? A 20 anni dal primo allarme lanciato da Federpromm, arriviamo alla manifestazione ConsulenTia 2017: qui il presidente Anasf Bufi lancia un secondo avvertimento preannunciando ciò che tutti sapevano da tempo e cioè che “(…) la Mifid 2 tra tante cose buone potrebbe portare un regalo sgradito: una sforbiciata alle remunerazioni dei consulenti finanziari. A questa decisione impopolare potrebbero essere indotte le reti a seguito delle spinte della seconda versione della direttiva europea verso una maggiore qualità del servizio, maggiore trasparenza dei costi e pressione competitiva in aumento (…). Il rischio o la possibilità che ci sia un intervento sui margini (mia nota: da parte delle società mandanti) non è un’ipotesi remota ma verosimilmente è già una realtà (…)”.

A cura di Alessio Cardinale, consulente finanziario

Qui è disponibile la risposta a cura di Maurizio Bufi, presidente di Anasf.

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