Fideuram: 50 anni da numero 1

Fideuram entra nella mezza età in forma perfetta. Cinquant’anni caratterizzati da successi straordinari ma anche da momenti difficili, superati però brillantemente. Una storia che parte nel lontano 1968 e che ha reso progressivamente questa realtà lo zenit della consulenza finanziaria in Italia.

Innovatore discusso
Finanziere americano, figura controversa com’è caratteristica di tutti i fondatori di imprese innovative, Bernie Cornfeld importò anche in Italia il suo innovativo business model frutto di un singolare abbinamento tra fondo comune e rete di vendita multi-level. Per il mercato italiano, infatti, il manager statunitense creò Fonditalia, un fondo lussemburghese autorizzato e gestito dalla società fiduciaria Fideuram, Fiduciaria Euroamericana, che era addetta a raccogliere il denaro degli investitori. In Italia fu un grande successo e in pochi mesi, in tutte le regioni italiane, vennero reclutati venditori con lo scopo di ricercare altri collaboratori e sottoscrittori. Questo vorticoso impegno portò nelle casse della Fideuram e della capogruppo IOS qualcosa come 200 miliardi di vecchie lire, per i tempi una cifra imponente.

Dal crac alla sorpresa Forti
Ma poi il vento dei cambiamenti iniziò a spirare contro. La prima crisi petrolifera degli anni Settanta, la fine del sistema dei cambi fissi, la crisi economica, misero in crisi il sistema societario messo in piedi da Cornfeld con la conseguenza che Fideuram e i soldi di 60mila investitori corsero il rischio di sparire. Lo Stato, per evitare un crac che avrebbe avuto conseguenze disastrose, decise di far intervenire l’Imi (Istituto mobiliare italiano) che rilevò dalla IOS sia Fideuram sia il fondo lussemburghese Fonditalia. Il compito di guidare Fideuram fu affidato da Imi a Giorgio Forti, un funzionario della Comit con esperienza nel settore fidi e successivamente titoli-estero, che dimostrò molto buon senso superando una situazione di iniziale ostilità da parte della rete. “Gli inizi furono burrascosi perché fui interpretato dai manager della rete come un incaricato della sua liquidazione”, ricorda Forti nel libro di Francesco Priore (Il mercato che non c’era). “Ma la macchina di vendita era perfetta e mi guardai bene dall’inceppare i meccanismi dedicandomi solo a mettere a posto i conti fuori controllo. Le perdite della struttura furono importanti ma il nucleo di base della rete ebbe fiducia e ripartì con il reclutamento e soprattutto con la formazione. Imi fu disponibile a fornirci i propri titoli da collocare nel mercato di istituzioni e privati, a costituire o acquistare due compagnie di assicurazione e al collocamento di mutui fondiari erogati dal San Paolo di Torino”. Così Forti, lungi da esserne il liquidatore, fu invece il protagonista di una fase di grande espansione e consolidamento di Fideuram. La rete cresceva grazie all’impegno dei manager, alla creazione di nuovi prodotti, all’immagine garantita dall’Imi, alla stabilità di una clientela crescente, ai buoni risultati ottenuti dai gestori del gruppo e a fortunate campagne pubblicitarie. Ma decisivo fu soprattutto un meccanismo di stock option introdotto per fidelizzare la rete. L’organico dei consulenti finanziari crebbe fino al numero di 3.500 dopo l’emanazione nel 1983 della legge istitutiva dei fondi comuni di investimento. Non mancheranno momenti difficili, come il contrasto tra Forti e il d.g. Sergio Pugliese, con l’uscita di quest’ultimo nel 1986. Una rottura che avrà conseguenze pesanti: oltre 700 promotori finanziari abbandoneranno la nave Fideuram per seguirlo nella avventura alla guida della neo costituita Sanpaolo Invest. Un’avventura, quella di Pugliese, che però terminerà bruscamente con la sua uscita da Sanpaolo Invest nel febbraio 1988.

La fusione con B. Manusardi
Forti è ancora in sella in uno dei momenti di svolta della storia di Fideuram, mentre incomincia a brillare la stella di Ugo Ruffolo, il nuovo direttore generale. È il 1992 quando Fideuram si fonde con Banca Manusardi, conseguendo due obiettivi in un colpo solo: trasformare la sim in banca e quotarsi in Borsa accorciando i tempi di un progetto che era già nei piani societari. L’operazione fu congegnata benissimo per ridurre i tempi del via libera alla quotazione, Banca Manusardi acquistò il 100% di Fideuram cambiando poi nome in Banca Fideuram.

L’era Ruffolo
Con l’uscita di Forti emersero le capacità di Ruffolo, un laureato in lettere che dimostrò notevoli qualità manageriali nella conduzione della realtà leader della promozione finanziaria.
“Sono stato fondamentalmente un consolidatore”, ricorda Ruffolo nel libro di Priore, “traghettatore dalla fase di movimento a quella di istituzione. È stata una bellissima esperienza, sia sotto il profilo professionale che umano. Fideuram, soprattutto nei momenti difficili, era un popolo unito e orgoglioso”. Il legame tra Ruffolo e la rete si cementa nel corso di altre tappe storiche di crescita di Banca Fideuram: l’inclusione del titolo nell’indice Mib 30 nel 1996, l’introduzione per prima in Italia del Personal financial planning, l’espansione europea in Lussemburgo, Francia e Svizzera, fino all’acquisizione di Sanpaolo Invest diventando così la prima rete multicanale in Italia. Due anni più tardi, nel 2004, sotto la regia di Ruffolo, Banca Fideuram si dotò di un’architettura.

Confronto e scontro
Ma il 2004 è anche l’ultimo anno dell’epoca Ruffolo. Il 10 settembre lascia il suo incarico di a.d. e direttore generale di Banca Fideuram e le deleghe operative temporaneamente nelle mani del presidente di Banca Fideuram Vincenzo Pontolillo. Fu l’atto conclusivo e drammatico di un contrasto maturato nel 2003 tra Ruffolo e i vertici di San Paolo Imi sulla riorganizzazione di Banca Fideuram, quale tassello del risparmio all’interno di un gruppo di forte impronta assicurativa.
L’idea della capogruppo sembrò tramontare all’indomani di uno storico e drammatico confronto, nella sede romana di Banca Fideuram, il 12 dicembre 2003, tra dodici promotori del coordinamento promotori finanziari di Banca Fideuram e i vertici di San Paolo Imi compreso il presidente Rainer Masera. I pf difesero le posizioni di Ruffolo, presente all’incontro, schierandosi contro soluzioni che minassero l’autonomia di Banca Fideuram. La contrarietà dei promotori rallentò ma non fermò il processo delineato da San Paolo Imi. Come fu chiaro con l’uscita di Ruffolo per il mondo Generali (sarà a.d. di Alleanza Assicurazioni dal 2004 al 2008), un addio che avrà pesanti ripercussioni anche sulla rete di Banca Fideuram: nell’arco di pochi mesi perderà oltre 200 promotori finanziari con destinazione Banca Generali.
La riorganizzazione delle attività di asset management e risparmio gestito del gruppo torinese, come si diceva, proseguì e fu affidata a Mario Greco. Il progetto prevedeva il delisting di Fideuram, la fusione con Eurizon e la successiva quotazione di quest’ultima. La fusione a monte tra Banca Intesa e San Paolo Imi, maturata nell’estate del 2006, bloccò il progetto, senza fermare però il negativo delisting di Banca Fideuram che andò in porto all’inizio del 2007, dopo un’opa che aveva valorizzato l’intera Banca Fideuram circa 5 miliardi di euro. In quegli anni, dal 2005 fino al 2007, un periodo “buio” vista la crescente disaffezione dei promotori e la fuga di molti di essi, la conduzione di Banca Fideuram fu affidata a un tandem composto dall’a.d. Massimo Arrighi e dal d.g. Giuseppe Rosnati.

Gli anni del rilancio
In questo contesto la prima sfida di Matteo Colafrancesco, diventato a.d. e d.g. di Banca Fideuram nel giugno del 2007, fu di ripristinare il perimetro originario e, soprattutto, il senso d’appartenenza di promotori finanziari e dipendenti (delusi dal delisting del titolo) a una realtà leader di mercato. Un obiettivo centrato perché Colafrancesco si è guadagnato la stima e il rispetto dalla rete, oltre per la sua storia fatta di gavetta e profonda conoscenza del business sul campo (fu prima area manager e poi direttore generale di San Paolo Invest), per l’impegno e la determinazione profusa nel rilancio e consolidamento della leadership del gruppo Banca Fideuram sul mercato. I risultati arrivarono e il gruppo riprese la sua corsa vincente nel risparmio gestito.

Molesini, svolta private
Il primo luglio 2015, con l’acquisizione dell’intero capitale sociale di Intesa Sanpaolo Private Banking, Sirefid e Intesa Sanpaolo Private Bank (Suisse), Banca Fideuram ha cambiato la propria denominazione in Fideuram Intesa Sanpaolo Private Banking (il cui acronimo è Fideuram ISPB). Con 187 miliardi di euro di masse amministrate, il nuovo player andava a costituire la prima banca private in Italia e la quarta dell’Eurozona. Colafrancesco diventa presidente del colosso (rimarrà in sella fino alla primavera di quest’anno), mentre Paolo Molesini che dal 2004 al 2015 era stato il capo azienda di Intesa Sanpaolo Private Banker, acquisisce il ruolo di a.d. e d.g. di Fideuram ISPB.
La nuova realtà, fortemente voluta da Carlo Messina, ceo di Intesa Sanpaolo, mette a fattor comune le rispettive eccellenze nell’ambito della consulenza finanziaria, dell’asset management e dei servizi fiduciari. Con risultati eccellenti: al 30 giugno 2018 il totale delle masse amministrate di Fideuram ISPB è cresciuto a quota 217,9 miliardi di euro, in crescita dell’1% rispetto a inizio anno (216,6 miliardi) e del 4% rispetto al 30 giugno 2017 (209,6 miliardi di euro). Inoltre al 30 giugno 2018 le masse amministrate in regime di consulenza a pagamento ammontavano a 38,9 miliardi, pari a circa 18% delle masse totali. Impressionante poi la forza distributiva conseguita dalle tre reti del gruppo alla stessa data: il numero complessivo dei private banker ha raggiunto quota 6.050, con un portafoglio medio procapite pari a circa 36 milioni. Una corazzata, quella presieduta da Paolo Grandi, che ha ancora una gran voglia di solcare gli oceani del business.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!

Tag: