Consulenza, la (non) beata ignoranza dei costi

Rimane caldo il dibattito sul recente Rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane. Dopo le valutazioni di Anasf e Nafop, vi proponiamo di seguito il giudizio del mondo delle scf, ben rappresentato da Massimo Scolari (nella foto), presidente di Ascofind.

Consob ha recentemente pubblicato l’edizione 2018 del Rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane. Quali sono gli elementi che a suo avviso sono di maggiore interesse?

Il lavoro di ricerca che ogni anno realizza l’Ufficio Studi della Consob rappresenta per noi uno strumento di lavoro essenziale che ogni anno si arricchisce di nuovi contenuti, in particolare nell’analisi dei tratti psicologici caratteristici dei risparmiatori e degli investitori, delle loro abitudini e delle preferenze.

Molti osservatori hanno posto in evidenza i dati sulle effettive conoscenze in materia finanziaria che denotano un livello ancora molto insoddisfacente di educazione finanziaria;  le nozioni di base (inflazione, relazione rischio/rendimento, diversificazione, mutui, interesse composto) risultano infatti comprese solo da circa il 50% degli intervistati.

Tuttavia vorrei osservare che, rispetto alle medesime rilevazioni effettuate l’anno scorso, si evidenziano alcuni significativi miglioramenti: ad esempio nelle risposte in tema di rapporto rischio-rendimento e sui benefici della diversificazione di portafoglio, i dati di quest’anno sono sensibilmente migliori rispetto alla precedente edizione del rapporto.

Veniamo alla consulenza finanziaria. La maggioranza del campione ricorre ai consigli di amici e parenti (cosiddetta consulenza informale), poco più del 20% si affida alla consulenza professionale o delega un esperto, il 28% sceglie in autonomia. Come commenta questi dati?

Il principale fattore che influenza la domanda di consulenza da parte degli investitori è il grado di fiducia che si assegna al consulente. Ciò vale sia in positivo che in negativo, ossia come principale fattore che influenza la domanda di consulenza ancora insufficiente.

Il confronto con i dati pubblicati nel 2017 indicano un aumento della quota degli intervistati che decidono gli investimenti in autonomia (self directed) che passano dal 22% dell’anno scorso al 28% di quest’anno. Il ricorso alla consulenza professionale o alla gestione di portafoglio scende invece dal 25% al 22%. Del resto, il fenomeno dell’aumento dei clienti self directed non è un fenomeno solo italiano ed è già stato osservato in UK, ad esempio, dopo l’introduzione della regolamentazione RDR.

Il Rapporto evidenzia anche una scarsa comprensione dei costi relativi al servizio di consulenza. Lo ritiene un fattore rilevante?

Da un lato la conoscenza delle caratteristiche del servizio di consulenza è ancora bassa ed è compito dei consulenti diffonderne maggiormente l’informazione presso il pubblico degli investitori. Dall’altro i dati del Rapporto Consob evidenziano una scarsa conoscenza anche dei costi e oneri associati al servizio (più dell’80% ritiene che il servizio sia gratuito o non ne conosce il costo).

Questa situazione probabilmente cambierà nel prossimo futuro grazie alla maggiore trasparenza sui costi ed oneri prevista dalla Direttiva Mifid2 che consentirà ai risparmiatori di valutare con maggiore obiettività i costi ed i benefici del servizio di consulenza.

Si tratta di una maturazione del mercato che si è già manifestata nei mercati più avanzati. Negli Stati Uniti ad esempio, secondo una ricerca di Cerulli Associates, la percentuale di risparmiatori disinformati rispetto ai costi del servizio di financial advice è passato da oltre il 60% nel 2011 all’attuale 40%. Nello stesso periodo la consulenza indipendente fee-only, remunerata in modo trasparente solo a parcella, è crescita dal 10% al 33%.

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