Banca Generali, la scelta sostenibile di Mossa

Di seguito, il testo integrale pubblicato sul profilo Linkedin di Gian Maria Mossa.

La crescente attenzione verso la sostenibilità, intesa come la tutela dell’ambiente, a favore del sociale e di buone pratiche nella governance (acronimo dall’inglese “Esg”) non può essere considerata una moda passeggera o semplice retorica di marketing. Siamo di fronte a un vero e proprio cambiamento culturale, spinto anche dalla maggiore sensibilità dei millennials verso questi aspetti, destinato a cambiare in profondità le scelte degli investitori. Una data chiave è la pubblicazione nel 2015 dei Sustainable Development Goals (SDGs) dell’Onu, conosciuti anche come Agenda 2030, una lista di 17 obiettivi e 169 target specifici da raggiungere per cercare di risolvere una serie di problemi riguardanti lo sviluppo economico, l’ambiente e l’uguaglianza sociale. Da allora i fattori Esg campeggiano sottolineati con più evidenza nell’agenda di imprenditori, manager e investitori.

La crescente spinta verso gli investimenti sostenibili arriva peraltro non solo dai grandi investitori istituzionali e dalle multinazionali che vogliono avvicinarsi ai valori dei ragazzi, ma anche dal mondo del risparmio. Come rivelano i grandi gestori e per chi ha a che fare con la protezione di ingenti patrimoni, non di rado oggi si trova di fronte a clienti che chiedono attivamente che i propri investimenti contribuiscano a rendere il mondo un posto migliore. Anche Banca d’Italia ha recentemente sottolineato nella propria relazione annuale un’apertura inedita verso la finanza sostenibile e green, supportando strategie di investimento che, fra gli altri, privilegia i titoli delle società che mostrano le valutazioni migliori sotto il profilo Esg. Quindi uno spostamento del portafoglio verso aziende che si caratterizzano per un più basso grado di emissioni di gas serra e minori consumi di energia e di acqua.

Non c’è però solo un fattore etico o l’urgenza di salvaguardare il pianeta in cui viviamo. In passato era convinzione diffusa che la scelta di privilegiare investimenti socialmente responsabili comportasse anche la necessità di sacrificare almeno in parte il rendimento. Oggi questa visione appare superata. Un recente approfondimento su Harvard Business Review cita numerosi studi fatti negli ultimi anni da cui emerge che le aziende con le migliori valutazioni Esg sono anche quelle con i migliori ritorni. Una ricerca dello scorso anno di Banor e Politecnico di Milano sui titoli dell’indice Stoxx Europe 600 sul periodo dal 2012 al 2017 dimostra che le imprese caratterizzate da rating Esg più elevati ottengono rendimenti superiori. Dunque i numeri dimostrano la professionalità e l’efficacia di queste strategie di investimento.

Ma se fino a qualche anno fa queste strategie rappresentavano casi perlopiù isolati che cercavano di valorizzare gli aspetti etici delle proprie gestioni, oggi i buoni propositi sono sicuramente molto più diffusi e condivisi. Per rafforzarne gli effetti servirebbe però ulteriore impegno per garantirne i risultati nel lungo periodo. Il rischio infatti è quello che una responsabilità indispensabile e un principio ineccepibile diventino un’etichetta da attaccare a qualsiasi prodotto senza curarne efficacemente i contenuti. Per questo occorre adoperarsi per garantire la fiducia dei risparmiatori creando un sistema trasparente di misurazione e traduzione dell’efficacia degli impegni verso la sostenibilità. Nella protezione del risparmio l’impegno alla diversificazione sta già delineando nuovi percorsi in cui le iniziative più innovative riescono a misurare in concreto il contributo a favore degli obiettivi SDGs dell’Onu al 2030. Questa è la direzione che abbiamo scelto di tracciare per far toccare con mano l’opportunità e la responsabilità che sottendono alle nostre scelte. Per una crescita che sia anche sostenibile si tratta di una strada obbligata, fatta di inclusione, apertura alle diversità e soprattutto valorizzazione delle persone, non ci sono alternative.

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