Consulente sospeso diventa “wanted” come nel Far West

Per le strade di Cremona si può trovare un cartello appeso con la scritta “Bini F. truffatore wanted”. Al centro c’è una foto con il volto di Francesco Bini, titolare della società Adhoc di Andrea & Francesco Bini (da non confondersi con la Adhoc di Mantova regolarmente iscritta alla sezione Scf dell’albo), accusato di essere coinvolto in una presunta truffa ai danni di decine di clienti, a cui avrebbe consigliato falsi investimenti per oltre cinque milioni di euro. A riportare la notizia è il quotidiano online Cremona Oggi, il quale spiega che il consulente è imputato a Brescia, insieme ad altri soggetti, per capi d’accusa come associazione per delinquere, abusivismo finanziario, truffa aggravata, riciclaggio.

Il procedimento giudiziario avrebbe risvegliato l’attenzione di alcuni cittadini cremonesi che gli avevano affidato la gestione dei loro risparmi. Il consulente, tuttavia, si sarebbe reso irreperibile e da qui deriva, probabilmente, l’iniziativa di appendere i cartelli per le strade della città con la scritta “Wanted” (ricercato, ndr).

Attualmente, Bini risulta sospeso dall’albo dei consulenti finanziari, a cui è iscritto come abilitato all’offerta fuori sede. L’Ocf ha emesso la delibera di sospensione lo scorso gennaio poiché, si legge sul documento, Bini insieme con altri soggetti avrebbe “mediante artifici e raggiri, consistiti nel promuovere strumenti finanziari e investimenti, pur senza le particolari abilitazioni richieste dal T.U.F., a 100 risparmiatori sul territorio italiano e di Dubai (E.A.U.) proponendo falsi contratti di investimento finanziario”. Il tutto sarebbe stato orchestrato tramite una società di diritto inglese di Londra “non abilitata ad operare in Italia” e “non iscritta all’albo”.

Bini e gli altri accusati avrebbero indotto “in errore i risparmiatori circa la liceità degli investimenti promessi ma in realtà insussistenti, poiché i capitali non venivano investiti secondo quanto pattuito e concordato con i risparmiatori, bensì venivano accreditati su conti correnti riferibili [a taluni degli imputati e successivamente redistribuiti] destinandoli quindi a scopi personali, si procuravano così un ingiusto profitto pari alla somma di € 5.571.638,00, con conseguente danno per le persone offese”.

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