Verso la consulenza “sociale”, parla Molesini (Assoreti)

“Dal risparmio agli investimenti: contesto e condizioni per un servizio di consulenza sostenibile alle famiglie e di sostegno all’economia” è il titolo del convegno annuale di Assoreti dell’8 ottobre 2019 (vedi box a pag. 22, n.d.r.). Dei temi del convegno, durante il quale verrà illustrata la revisione del Codice di comportamento dell’associazione, parliamo con Paolo Molesini (nella foto), presidente di Assoreti e amministratore delegato e direttore generale di Fideuram Intesa Sanpaolo Private Banking.

Il tema centrale sarà la promozione del passaggio dalla filosofia del risparmio a quella degli investimenti. Perché avete scelto questo argomento?
In realtà è uno dei temi che affronteremo, tutti rilevanti per la prestazione di un nuovo e maturo servizio di consulenza, al servizio dell’investitore e dell’economia del Paese; nell’asset allocation adottata dal sistema banche-reti la parte di liquidità del portafoglio degli investitori rappresenta appena il 15% delle attività complessive contro il 33% della liquidità riscontrabile nella totalità delle attività finanziarie delle famiglie italiane. Il restante 85% è poi investito per la massima parte (60%) in polizze assicurative e quote di fondi comuni di investimento e previdenziali (contro il 36% investito in tali prodotti dalla totalità delle famiglie italiane). Tali numeri dimostrano che le reti sanno dare fiducia agli investitori, arginando la tendenza dell’ultimo decennio a un ripiegamento difensivo su posizioni liquide che, pur essendo psicologicamente comprensibile, risulta non privo di conseguenze sulle prospettive di medio-lungo periodo offerte all’investitore, traducendosi in una sicura erosione nel tempo del capitale. È bene evidenziare, a beneficio di tutti gli attori, l’importanza della consapevolezza del ruolo che deve svolgere chi oggi presta una consulenza non solo finanziaria, bensì patrimoniale. La relazione fiduciaria e stabile con il cliente, gli investimenti consapevoli e duraturi, il supporto professionale del consulente abilitato all’offerta fuori sede rappresentano gli imperativi caratterizzanti un’industria che ha dimostrato di saper fornire un contributo basilare e corretto alla traduzione del risparmio in investimento; deve ampliarsi, nella platea dei clienti e anche verso le attività produttive sane del Paese.

Quali leve potrebbero utilizzare i consulenti per educare agli investimenti le famiglie italiane, storicamente focalizzate sul risparmio a basso rischio?
Il compito del consulente finanziario abilitato è quello di aiutare il cliente a comprendere, condividendo con cura e attenzione l’assunzione di scelte di investimento coerenti con i suoi bisogni. In questo processo il consulente finanziario diventa un educatore e una guida. L’obiettivo sostanziale del consulente finanziario è di guidare l’investitore nel processo decisionale nel suo miglior interesse; egli si rende interprete delle sue esigenze, lo consiglia nel modo migliore possibile, previene scelte avventate, frutto di errori di prospettiva. La trasformazione del risparmio in investimento è dunque assistita e adeguata. È fondamentale garantire questa tutela e riteniamo che il nostro sistema possa svolgere un ruolo fondamentale in questo circuito; certo, è necessario avere grandi competenze negli investimenti e prodotti che possano essere indirizzati a una clientela più ampia di quella sino a oggi interessata.

Un altro tema caldo legato all’industria finanziaria è quello della sostenibilità. Quanto questo approccio sta entrando nel Dna degli intermediari, al di là degli slogan?
Da un lato le autorità, a livello mondiale, stanno sempre più stimolando l’attenzione al tema; dall’altro è indubbio che anche in Italia abbiamo, già da tempo in realtà, ampie fasce di clientela, da quelle giovani a quelle ricche, particolarmente interessate. Non è più quindi una questione di slogan, come d’altra parte non riteniamo che lo sia mai stato, bensì la maturazione di un’esigenza e quindi la consapevolezza con la miglior focalizzazione di ciò che la sostenibilità coinvolge. Nei fatti è il modo di fare industria delle reti che può sempre più sviluppare gli investimenti Esg, perché se attraverso il processo consulenziale il cliente ne comprende la rilevanza, e può quindi scegliere tra le diverse opportunità offerte dal mercato, va da sé che stimoliamo con la nostra domanda comportamenti virtuosi. Peraltro, sarà fondamentale comprendere il rischio Esg addizionale generato da decisioni di investimento sostenibili a fronte delle scelte di business; anche su questo siamo già al lavoro da tempo.

Si parla tanto di uno scenario di mercato post Mifid 2. Quali caratteristiche deve avere una rete per valorizzarsi in questo contesto?
A cavallo fra i due millenni si è raggiunto il picco massimo del numero delle reti presenti nel mercato; poi le dinamiche innescatesi per effetto delle congiunture dei mercati, da un lato, e la lievitazione dei costi per adeguarsi a una regolamentazione sempre più fitta e pervasiva, dall’altro lato, hanno dato luogo a fenomeni di concentrazione selettiva con la conseguente contrazione del numero degli operatori. Per contro, si è constatato il consolidamento della presenza di un nucleo stabile di reti le cui attività complessive si sono progressivamente estese a fasce sempre più ampie di mercato. Nella galassia Assoreti si è contratto il numero delle reti associate, mentre è rimasto sostanzialmente stabile quello dei consulenti finanziari che operano per esse, e le masse gestite sono complessivamente aumentate nell’ultimo decennio da 230 miliardi agli attuali 584 miliardi di euro. La forza delle reti è stata e rimarrà sempre quella di fondare il proprio business sulla prestazione di servizi consulenziali e personalizzati, sempre più evoluti e ad ampio perimetro.

Quali sono i fattori che incidono su una buona consulenza?
Tra i tanti, mi piace evidenziare innanzitutto l’integrità morale e l’ottima preparazione professionale che costituiscono i principali ingredienti di una corretta consulenza agli investimenti e dei nostri consulenti in Italia. In secondo luogo, una cura costante degli interessi del cliente, in modo che quest’ultimo si senta sempre sorretto nelle proprie scelte, comprendendo l’importanza dell’apporto professionale dell’intermediario ai fini dell’ottimizzazione dei suoi investimenti. È un valore assoluto che i clienti devono continuare a percepire. E ancora, conoscere e saper utilizzare i vantaggi della digitalizzazione continuando a valorizzare la connessione intuitiva con i clienti, che sono e restano persone con un proprio singolare vissuto.

Alla Fondazione Cariplo presenterete anche la nuova versione del Codice di comportamento. Vuole raccontarci come è nato questo nuovo documento e quali sono le novità?
Il Codice di Comportamento dell’Assoreti è stato adottato nell’aprile del 1987 allo scopo essenzialmente di affermare i canoni generali della correttezza e della buona fede, anche in un’ottica etica attraverso regole all’epoca fortemente innovative e anticipatorie di molte delle soluzioni che sono state poi accolte dalla normativa successiva. Fermi restando i principi ispiratori ancora oggi attuali, si è ritenuto di voler “modernizzare” il Codice, aprendolo ai fattori e ai valori, tra gli altri di governance e di rischio, che stanno emergendo in ogni settore dell’economia e della società, così da recuperare la carica innovativa iniziale attraverso la valorizzazione della capacità delle reti di riuscire a intercettare e realizzare i bisogni effettivi e attuali dei clienti. Con la nuova versione il Codice si apre quindi ai nuovi valori etici legati alle istanze di crescita sostenibile, introduce i fattori di sostenibilità ambientale, sociale e di governance nel processo consulenziale, pone l’enfasi sulla necessità della preparazione professionale del consulente finanziario in combinazione con l’esigenza di educazione finanziaria del cliente e amplia più in generale la sfera degli obblighi di correttezza professionale delle reti nel mercato.

Il mercato italiano si è da poco confrontato sul tanto atteso invio alla clientela della reportistica sui costi ex Mifid 2. Gli intermediari, in sostanza, si sono divisi tra chi ha adottato una documentazione sintetica di poche pagine e chi invece ha scelto di proporre rendiconti più strutturati. Questo approccio eterogeneo non rischia di essere fuorviante?
I nuovi obblighi di trasparenza dei costi e del loro impatto sul rendimento costituiscono un’applicazione doverosa e irrinunciabile del principio generale di correttezza e buona fede, a tutela dell’investitore. In altre parole, il senso di tali obblighi è far sì che il cliente sappia quanto spende per effettuare gli investimenti e quanto sta guadagnando o perdendo al netto di tutti i costi relativi sia ai servizi prestati dall’intermediario con cui entra in contatto, sia ai prodotti che tale intermediario gli suggerisce nel tempo. La concreta attuazione di tali obblighi è stata, è vero, sinora attuata in maniera differente dagli intermediari, ma la diversità degli schemi adottati non è altro che il risultato di scelte che riflettono, da un lato, le differenze strutturali, organizzative e relazionali di ciascun intermediario e, dall’altro lato, l’impiego di autonome metodologie di calcolo che, beninteso, devono essere corrette e supportate sul piano scientifico. Un margine di flessibilità nei criteri di rappresentazione dei costi è quindi inevitabile. D’altronde, l’alternativa era quella di renderli meno analitici, e quindi più standardizzabili, lasciando comunque gli intermediari liberi di adottare modelli diversi di business nel mercato, fondamentali per una sana concorrenza.

Secondo lei non c’è il rischio che Mifid 2 generi una divergenza di interessi tra reti e professionisti?
Abbandonato ormai da tempo il vecchio modello del door to door selling di matrice commerciale, il servizio prestato dalle reti si è andato evolvendo nella direzione di una consulenza sempre più indipendente e di qualità. Di pari passo si è rafforzata la presenza delle reti nel settore del private (più del 55% degli asset complessivi delle società aderenti all’Assoreti appartiene ai clienti private) e si sono sviluppate forme di consulenza globale, volte alla protezione dell’intero patrimonio dei clienti (famiglie e imprese), con attenzione anche al passaggio generazionale. La prestazione di una consulenza di qualità richiede una sempre maggiore specializzazione delle competenze e anche per questa ragione si stanno sviluppando all’interno delle singole reti alcune forme di collaborazione in team fra più consulenti finanziari in grado di fornire apporti professionali nei diversi segmenti del mercato finanziario globale e negli investimenti in genere; come del resto accade nel mercato statunitense da tempo. Nel contempo, la ridefinizione dei processi e la digitalizzazione dei contenuti offrono al consulente la possibilità di relazionarsi con il cliente minimizzando i costi operativi. Il nuovo Codice di Comportamento dell’Assoreti incentiva adesso l’adozione dei team fra i consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, idonei, fra l’altro, anche a favorire l’apporto dei giovani e delle donne; e il tema del ricambio generazionale vede anche noi particolarmente attenti. La forza dell’industria risiede quindi in questo “binomio vincente” che vede lavorare insieme l’intermediario mandante e i suoi consulenti. Vi è fra l’uno e gli altri una convergenza di interessi che esce rafforzata da ogni regola, come quella sulla trasparenza dei costi, che va nella direzione di imporre comportamenti virtuosi a tutti gli operatori.

Concludiamo da dove siamo partiti. Quale messaggio vorrebbe che arrivasse con più forza ai partecipanti al vostro convegno di ottobre?
Il senso di un’industria affidabile che mette la propria professionalità al servizio del cliente e che offre un contributo importante al sostegno dell’economia reale, riuscendo a convertire la liquidità in investimenti che siano però sostenibili anche per il cliente.

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