Unione bancaria, la mina dei derivati sugli istituti europei

La discussione sull’Unione bancaria europea, rilanciata nei giorni scorsi con la proposta avanzata dal ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz, si sposta sui titoli illiquidi o derivati. Un fattore di rischio al quale sono fortemente esposti gli istituti di credito tedeschi e francesi. A partire da Deutsche Bank, la “grande malata” del sistema bancario del Vecchio continente, gravata da un’esposizione monstre ai derivati pari a 16 volte il valore del Pil tedesco.

I titoli illiquidi di livello 2 e 3, per la loro stessa struttura finanziaria e per il fatto di non essere scambiati sui mercati, sono di difficile valutazione: l’opacità della struttura li espone al cosiddetto valuation risk, ossia il rischio di iscrizione in bilancio a un valore più o meno lontano da quello corretto. Ma alcuni esperti notano che la situazione peggiorerebbe ulteriormente in caso di dissesto di una banca che li detiene in maniera massiccia, come avvenuto per Lehman Brothers e per i subprime, all’origine della grande crisi finanziaria globale.

In questo scenario, i titoli illiquidi sarebbero una grana ben peggiore dei titoli di Stato, facilmente vendibili sul mercato, ma anche dei crediti deteriorati i quali, nonostante siano tanto demonizzati nella proposta Scholz sull’Unione bancaria, sono comunque coperti a livello di capitale e abbiano un valore recuperabile sul mercato.

Il problema del progetto avanzato dal ministro delle Finanze di Berlino è che non prende minimamente in considerazione la questione dei derivati. Una “dimenticanza” che ha alimentato più di un sospetto sulla vera finalità dell’iniziativa di Scholz, che secondo i critici sarebbe proprio quella di mettere sulle spalle del sistema bancario europeo i rischi dell’esposizione agli illiquidi delle banche tedesche.

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