Pagani (Muzinich&Co.): “Cosa c’è da sapere sul Mes”

Duri scontri in Parlamento, polemiche politiche, accuse al premier Giuseppe Conte. Sono gli effetti collaterali del dibattito sul  Meccanismo Europeo di Stabilità, l’ex Fondo Salva Stati che sta per essere riformato con misure che alcuni partiti considerano una minaccia per i risparmi degli italiani. Ma davvero esiste questo pericolo? E perché si parla tanto del Salva-Stati (in inglese Esm European Stability Mechanism)? Se lo chiedono in molti anche tra i gestori di portafoglio, i private banker e i consulenti finanziari, che seguono da semplici spettatori il dibattito di questi mesi. “Si tratta di temi tecnici che hanno assunto una forte valenza politica”, dice Fabrizio Pagani, (nella foto) ex capo della Segreteria Tecnica del Ministro dell’Economia e delle Finanze, che oggi lavora per la nota casa d’investimenti Muzinich&Co,  in cui ricopre la carica di head of Economics and Capital Market Strategy”.

Dunque, dottor Pagani, tutto il baccano di questi giorni è fuori luogo?

Direi che va sottolineato un aspetto importante: tutte le misure che stanno per essere messe in campo non hanno un impatto sulla finanza pubblica italiana e sulla sostenibilità del nostro debito pubblico. La situazione dei nostri conti è assolutamente sotto controllo. Piuttosto, è importante che gli operatori pubblici e privati agiscano  affinché l’Italia non abbia mai bisogno di ricorrere Fondo Salva-Stati.

Chi dice che la riforma avvantaggia certi paesi come la Germania si sbaglia?

Nel complesso, non vedo grandi disequilibri nelle trattative sulla riforma. Anche l’Italia a giugno ha avanzato delle richieste ed è riuscita a ottenere dei cambiamenti. Il negoziato sulla riforma si è sostanzialmente chiuso all’inizio dell’estate scorsa e non pare possibile riaprirlo mentre la firma del Trattato avverrà probabilmente a febbraio.

Lei parlava di questioni tecniche: possiamo spiegare allora che cosa cambierà dal punto di vista tecnico con la riforma del fondo Salva-Stati?

Innanzitutto questo organismo, creato anni fa per aiutare i paesi europei in difficoltà finanziaria, diventerà anche il common backstop del Single Resolution Fund (Srf). Quest’ultimo è un altro organismo europeo, alimentato con i soldi delle banche del Vecchio Continente, che serve per sostenere gli istituti di credito in crisi. Le disponibilità  dell’Srf sono limitate e, qualora in futuro non basteranno per effettuare qualche intervento di salvataggio di una banca, allora si potrà attingere alle risorse del fondo Salva-Stati.

C’è però chi teme un altro aspetto della riforma: la possibilità di ristrutturazione del debito dei paesi in difficoltà…

 In questo campo i cambiamenti introdotti con la riforma non hanno modificato in maniera sostanziale le condizioni di accesso degli Stati all’assistenza. Non si introduce alcun obbligo per i paesi in difficoltà finanziarie di ristrutturare il loro debito per accedere all’Esm. Rimangono elementi di condizionalità per avvalersi degli strumenti dell’Esm, ma questi erano presenti anche precedentemente.

Cosa cambia invece per gli obbligazionisti che detengono i titoli del debito pubblico?

Viene previsto l’obbligo di introdurre clausole di single-limb, che permetteranno di superare le resistenze di minoranze di obbligazionisti che decidano di non partecipare alla ristrutturazione del debito. Ma ciò può avvenire appunta soltanto a una condizione, cioè qualora questa ristrutturazione debba per forza avvenire.

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