Azimut, la festa dei 30 anni. Intervista a Pietro Giuliani

Nel 1989 era ancora in piedi il Muro di Berlino, gli italiani non conoscevano i telefoni cellulari, la Cina era ancora un gigante addormentato e i Bot, i Buoni Ordinari del Tesoro che tanto piacevano ai risparmiatori di tutta la Penisola, rendevano la bellezza dell’11% su base annua. In quell’Italia e in quel mondo così diversi da oggi muoveva i primi passi Azimut, dove un anno dopo arrivò Pietro Giuliani, riconosciuto come il vero fondatore dell’attuale gruppo. Da allora sono passati sei lustri e in Italia e nel mondo è successo un po’ di tutto: a Roma sono cambiati almeno 18 governi, l’economia del pianeta è diventata globalizzata, l’Occidente ha attraversato nel 2008-2009 la più grande recessione del dopoguerra, i tassi d’interesse sono crollati sotto zero e i Bot, quei generosi Bot che nel 1989 rendevano così tanto oggi danno un interesse negativo, cosa che un tempo era letteralmente impensabile. Eppure il gruppo Azimut è ancora lì. Anzi, mentre nel mondo succedeva un po’ di tutto, la società ha compiuto un bel po’ di salti verso l’alto: da startup qual era, è diventata infatti un gruppo internazionale con più di 223mila clienti, 2.200 consulenti finanziari di cui 1.800 in Italia, 58 miliardi di euro di patrimonio in gestione e attività in 17 paesi, dall’Australia al Brasile, passando per la Cina, il Messico gli Stati Uniti, il Medio Oriente e naturalmente la vecchia Europa. In questa intervista rilasciata a BLUERATING Pietro Giuliani, che di Azimut è stato il fondatore e che oggi mantiene ancora la carica di presidente, ripercorre la storia della società e parla delle nuove sfide che la attendono nei prossimi decenni.

Dall’anno di fondazione di Azimut sono davvero successe tante cose. Nessuna nostalgia dei tempi delle origini, ingegner Giuliani?

Se c’è qualcosa di cui posso avere nostalgia forse è lo spirito pioneristico che allora ci ha guidato nella nostra avventura. Agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso il settore del risparmio gestito in Italia era in uno stato embrionale e noi ci muovevamo davvero come dei pionieri. Oggi, con la struttura che abbiamo, con i nostri oltre 1.800 consulenti finanziari, è ovvio che ci muoviamo con uno spirito diverso.

Anche l’intero settore del risparmio gestito, come Azimut, è cresciuto molto negli ultimi decenni.
C’è qualche cosa però che poteva andare meglio, secondo lei?

Una cosa di sicuro: purtroppo il risparmio gestito italiano non si è internazionalizzato o non lo ha fatto abbastanza. E’ rimasto per lo più un’industria concentrata dentro i confini nazionali mentre gli stranieri sono stati ben contenti di venire a investire da noi. Questa considerazione che faccio può sembrare un ragionamento pro domo mea, visto che Azimut è stata la prima e unica società del settore che ha voluto assumere una dimensione internazionale. Ma è indubbio che le cose siano andate così.

A proposito di internazionalizzazione, la vostra decisione di andare all’estero non coincide con l’anno della fondazione ma risale a poco più di dieci anni fa. Com’è maturata?

È maturata quando abbiamo capito che per dare più performance ai clienti bisognava andare nei posti dove le economie erano in forte espansione e che l’industria del risparmio gestito dei paesi occidentali, Italia compresa, era ormai matura con margini di profitto inevitabilmente più bassi che un tempo. Certamente l’asset management è un settore ancora interessante ma qui da noi ovviamente non può garantire i tassi di crescita che ci sono in altri paesi, le nazioni emergenti dell’Asia o del Sudamerica. Lì ovviamente c’è una classe media che sta crescendo e che va alla ricerca di servizi sempre più avanzati per la gestione della ricchezza che sta accumulando. Per questo abbiamo deciso di iniziare la nostra avventura internazionale.

Dunque i mercati emergenti restano il vostro focus principale? O ci sono altre aree geografiche che intendete esplorare?

Io direi che a guidare le nostre decisioni non ci sono considerazioni di tipo esclusivamente geografico. Intendo dire che non partiamo dall’idea che sia conveniente espanderci in questo o quel paese. Partiamo piuttosto dalle persone e dai progetti. Che si tratti degli Stati Uniti, dell’Europa o di una nazione emergente, ci muoviamo innanzitutto quando troviamo progetti interessanti e partner simili a noi che riteniamo adatti a metterli in atto.

E l’Italia, invece, cosa rappresenta attualmente per voi?
Beh ovviamente per noi l’Italia resta importantissima, a cominciare dalla nostra rete di consulenti finanziari. Parlare di internazionalizzazione non significa ovviamente dimenticare le nostre origini e mi preme di sottolineare un fatto: se uscire dai confini nazionali è stata una scelta giusta, gran parte del business del gruppo Azimut si concentra ancora in Italia dove i clienti beneficiano delle nostre capacità di gestione all’estero.

Proprio in Italia è partito un nuovo filone di business su cui il vostro gruppo sta puntando molto: gli investimenti nell’economia reale attraverso il private equity e Azimut Libera Impresa. Cosa dobbiamo aspettarci su questo fronte?

Se devo disegnare la composizione del patrimonio della Azimut del futuro, circa il 35% delle nostre masse si concentrerà sulle attività nei mercati esteri ed emergenti, grazie al nostro processo di internazionalizzazione, un altro 35% sarà nei mercati tradizionali e un’ulteriore quota del 30% sarà nell’area degli investimenti alternativi legati all’economia reale.

Un tema di cui si discute molto in Italia è la possibile aggregazione tra le maggiori banche-reti. Fineco è diventata una public company scalabile e da mesi si parla di una possibile unione tra Mediobanca e Mediolanum… Di fronte a questo processo Azimut rimarrà alla finestra?

Non ho problemi a dire che tale processo ci interessa ben poco. Nel Dna di Azimut c’è l’indipendenza e la libertà. Per questo vogliamo rimanere liberi e indipendenti, senza padroni. Sono caratteristiche che ci hanno permesso di diventare quello che siamo oggi, come testimoniano le nostre performance di borsa.

In che senso?

Ci siamo quotati poco più di 15 anni fa e il nostro titolo, dal giorno del debutto, ha guadagnato in media circa il 65% all’anno. Meglio di noi, nello stesso periodo, hanno fatto soltanto due eccellenze del made in Italy come Recordati e Brembo. Essere al terzo posto dietro di loro è un risultato che mi onora anche perché Azimut è la prima tra le società del settore finanziario.

Chi raccoglierà un giorno l’eredità professionale di Pietro Giuliani?

Ho una squadra di manager ancora giovani che tuttavia lavorano con me da diversi anni e hanno assimilato e condiviso fin dagli inizi la cultura aziendale di Azimut. Quindi sono fiducioso e non mi preoccupo di questi problemi. Per la presenza di 5 amministratori delegati, il Financial Times ci ha definito una volta un’idra a 5 teste. Ma io considero questa caratteristica una ricchezza, non una criticità.

 

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