Consulenti: basta confusione, è il momento di tirare fuori l’orgoglio

Articolo a cura di Maurizio Bufi, presidente Anasf.

Ha detto di recente in modo autorevole un importante rappresentante del mondo degli intermediari: “I consulenti finanziari non devono dimostrare più nulla”, riferendosi, com’è ovvio, viste le dimensioni del mercato di riferimento, ai consulenti finanziari abilitati al collocamento. E invece ci accorgiamo che la stampa generalista sembra disconoscerlo, persino ignorarlo. Ha suscitato un certo stupore leggere un intervento di Milena Gabanelli e Giuditta Marvelli, intitolato “Investimenti: quelli più consigliati dai consulenti indipendenti”, pubblicato sul Corriere delle Sera, nel noto spazio di approfondimenti “Dataroom”, curato dalla stessa giornalista.

Su un tema così importante e sensibile come quello degli investimenti delle famiglie italiane, ci si aspetta un’analisi esaustiva ed analitica, piuttosto che imprecisioni terminologiche, superficialità dei contenuti e atteggiamenti pregiudiziali (non dichiarati, ma palesi) riguardo a tutto ciò che nel mondo dei consulenti finanziari non abbia una natura “indipendente”. Un approccio che come Anasf abbiamo subito stigmatizzato, tanto era manifesta l’infondatezza delle tesi sostenute. Ne è subito scaturita (e non è la prima volta) una kermesse di opinioni da parte di soggetti, la cui rappresentatività è assai dubbia, a difesa della propria posizione, o meglio, del proprio angusto recinto. Non intendo alimentare una sterile polemica e cercare, invece, di fare un passo avanti, anche perché sul punto si è magistralmente espresso Gaetano Megale, che ben conosce il nostro mondo, fin dagli inizi degli anni ‘80. Non prima però di aver correttamente inquadrato il tema di come parlare di consulenza finanziaria in Italia, cercando di capire se questo argomento possa un domani approdare nel nostro dibattito pubblico (non con i limiti dell’intervento censurabile da cui siamo partiti).

Il settore della cd “consulenza agli investimenti” in Italia, alla fine del 2019, contava oltre 620 miliardi di euro di “asset under management” distribuiti su oltre 4 milioni e mezzo di famiglie e poco più di 22.000 operatori attivi, iscritti nella sezione dell’OCF, l’Organismo di vigilanza dei consulenti finanziari, riconducibili alle reti che nell’attività di offerta fuori sede si avvalgono di consulenti finanziari abilitati al collocamento. Un settore cresciuto di buon passo, anno per anno, ininterrottamente negli ultimi tre decenni a dimostrazione dell’efficacia del proprio modello di servizio, su cui non mi soffermo più di tanto poiché i dati parlano chiaramente. Un modello di servizio al cliente, ed al tempo stesso un modello di business, che ha incorporato la costante evoluzione delle professione, così come regolamentata dal quadro normativo europeo e nazionale, verso l’approdo convinto alla consulenza finanziaria, senza alcuna aggettivazione. Alla base di questa architettura, funzionale anche alla tutela ed alla protezione dell’investitore, compresi il vincolo di monomandato e le responsabilità in solido tra mandante e consulente, si è sviluppato il rapporto fiduciario tra risparmiatore e consulente, attraverso una spiccata personalizzazione del servizio, indipendentemente dai tipi di prodotto o servizio promossi, collocati e monitorati, all’interno delle cornice delle consulenza finanziaria targata Mifid. Quindi, un modello molto lontano da quello bancario tradizionale con i sui evidenti conflitti di interesse interni (li si veramente, a proposito di gestione del risparmio!), di cui dovrebbero prendere atto i media in primis, visto che da quell’ambito abbiamo mosso il nostro ragionamento e non disquisire su improbabili forme di consulenza “pura” che non esiste, ne nelle norme ne nella realtà. Quanto alla consulenza su base indipendente e non indipendente, adottabile dai diversi modelli di servizio in base dell’organizzazione interna agli stessi intermediari ed al loro target di riferimento, abbiamo più volte auspicato che tale limitazione in capo alla singola rete fosse rimossa, in quanto inefficiente ed anacronistica. Il divieto, infatti, non dovrebbe valere a monte, obbligando l’intermediario a gestire due canali paralleli e distinti. Il consulente dovrebbe avere la possibilità di utilizzare entrambi i modelli in funzione del cliente assistito con il quale si stabilisce alternativamente l’applicazione dell’una o dell’altra modalità. Da tutto ciò scaturisce poi il sistema di remunerazione dei vari stakeholder della catena del valore e la gestione del conflitto di interessi. Ma l’evidenza di cui tutti dovrebbero prendere atto è che il risparmiatore assistito da un consulente finanziario- quando si accinge a diventare investitore lungo il suo ciclo di vita, individuale e familiare – ha in contemporanea un set di vantaggi: un servizio qualificato, per conoscenza tecnica, approccio metodologico e per abilità relazionale, un portafoglio ampiamente diversificato e più robusto (o meno fragile) dei portafogli costruiti secondo logiche esclusivamente commerciali (come quelle, in prevalenza, del canale bancario e di quello postale), una maggiore consapevolezza delle scelte, poiché assistite anche da una buona dose di educazione finanziaria e conseguentemente un elevato grado di benessere e di protezione finanziaria, assicurativa e patrimoniale. E allora, parliamo pure di trasparenza, di costi, di valore ma a partire da un terreno condiviso di partenza, che riconosca una volta per tutte il cammino di crescita professionale svolto da un’intera categoria di operatori, anche se tanta strada dobbiamo ancora percorrere insieme. Come Anasf riteniamo di avere le carte in regola, non per una forma di presunzione, bensì perché i nostri associati hanno da tempo dimostrato ed applicato le migliori pratiche del mercato, avendole prima fatte proprie con atti pubblici, come: la “Carta dei Diritti dei Risparmiatori” del 2005, le “Linee Guida della relazione con il cliente” del 2009, le varie consultazioni a cui abbiamo partecipato negli anni più recenti con le autorità nazionali ed europee (Esma e Consob in vista delle stesura delle Mifid), i convegni pubblici come Consulentia, di cui sono agli atti gli interventi e le dichiarazioni ufficiali. Abbiamo sempre affermato che c’è spazio per i vari modelli di business, perché la concorrenza fa aumentare la prestazione del servizio, in presenza di un “level playing field” per tutti gli operatori: alla fine la consulenza finanziaria si affermerà e si consoliderà dove le best practices saranno le più diffuse e la soddisfazione del cliente maggiore rispetto ad altri competitors. Il compito di chi rappresenta il mondo della consulenza finanziaria, tra gli altri, è quello di valorizzare in tutti i modi la figura ed il ruolo del consulente, a prescindere dalle modalità di svolgimento della professione. Evitiamo, dunque, inutili querelle interne e sterili contrapposizioni (ed anche ogni forma di autocompiacimento), ma concentriamoci affinché quando si parla del nostro settore se ne parli con cognizione di causa.

 

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