Consulenti, chi si somiglia si piglia

Siamo già alla terza settimana di proteste contro il comportamento adottato dalla polizia degli Stati Uniti nei confronti di George Floyd durante il suo arresto a Minneapolis. Un episodio che ha spinto migliaia di persone a scendere in piazza al grido di ‘Black Lives Matter’, non solo negli Usa, ma anche in diverse parti del mondo. Sì perché il razzismo è un morbo che non ha confini definiti, ma si espande a macchia d’olio e spesso è talmente subdolo da diventare perfino latente e cercare di estirparlo risulta così ancora più difficile.

Per unirci (in modo pacifico) alla protesta, abbiamo deciso di comprendere meglio come si colloca la professione del consulente finanziario negli Stati Uniti, analizzando uno studio condotto da Flexshares, agenzia di servizi finanziari statunitense.

Dall’analisi emerge che solo il 3,5% dei consulenti finanziari appartiene all’etnia afroamericana o latina e solo il 14% dei consulenti è di sesso femminile.

Un altro fatto rilevante riguarda una sorta di “prossimità razziale” che sussiste tra consulente e cliente: il 98% dei clienti bianchi si rapporta con consulenti bianchi, il 75% dei clienti asiatici con consulenti asiatici e il 63,2% né bianchi né asiatici lavora con consulenti che non appartengono a quei due gruppi razziali. Da questi dati emerge come gli investitori siano più propensi ad interfacciarsi con consulenti appartenenti allo stesso gruppo razziale.

Un aspetto peculiare riguarda però la consapevolezza dei consulenti finanziari dei benefici derivanti da una maggiore diversità etnica all’interno del proprio team. Come si diceva poc’anzi, talvolta il razzismo assume una conformazione latente tale da indurre le persone a non ritenersi consciamente “razziste”, ma da adottare nei fatti dei comportamenti che sottolineano la presenza di pregiudizi radicati.

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