Reti e gestori, chi sopravvive (e chi no) al disastro

“Mentre gli asset manager subiscono gli effetti della pandemia, i distributori potrebbero anche cavalcarla”. A pensarlo è Giovanni Andrea Incarnato, EY Italy Wealth & Asset Management leader, che ha commentato insieme a BLUERATING i dati di una ricerca condivisa in esclusiva con questa testata. La società di consulenza internazionale ha calcolato i potenziali impatti del Covid-19 sull’industria dell’asset management, stimando un contraccolpo sui margini operativi compreso tra il 10% e il 15% per il 2020. Sempre in doppia cifra il crollo dei ricavi, tra il 15% e il 20%, e quello del patrimonio in gestione: tra il -20% e il -25%.

Quadro a due facce
Non benissimo per un’industria che già pativa il peso di costi importanti e che temeva un’ulteriore erosione dei margini con l’introduzione della normativa Mifid 2. Ma là dove gli asset manager hanno ancora molto da fare, di certo wealth manager e consulenti finanziari hanno tra le mani un’ottima occasione: “L’asset management sta subendo la conversione dalla gestione attiva verso quella passiva”, spiega Incarnato, “mentre i distributori sono in prima linea a gestire la paura del cliente e hanno a disposizione alcune leve importanti per influenzare il comportamento dell’investitore”. In un settore che deve combattere contro l’erosione dei suoi ricavi, tanto gli asset manager quanto le banche-reti sono chiamate a crescere a livello dimensionale per ricercare economie di scala: “Questa cosa vale per le case di gestione quanto per i distributori. Entrambi, se non hanno una dimensione adeguata dovranno guardarsi intorno alla ricerca di opportunità interessanti”. C’è però una differenza sostanziale che conferisce prospettive migliori al mondo delle banche-reti rispetto a quello degli asset manager: “I distributori italiani hanno accumulato un discreto ammontare di utili, al punto che i manager hanno considerato le reti di consulenti finanziari come delle cash cow. Loro mi sembrano in grado di avere le munizioni per fare gli investimenti necessari nella tecnologia, in modo da migliorare il rapporto tra la banca e il cliente, offrendogli risposte più puntuali e adatte alle sue esigenze. Solo così si può rafforzare la relazione con i clienti migliori”.

Opportunità di miglioramento
Ma c’è anche un altro aspetto, altrettanto importante: “Gli asset manager dal Covid avranno impatti più facilmente calcolabili sui fondamentali. I distributori, invece, avrebbero veramente tante cose da fare e tante opportunità di miglioramento. In Italia, spesso si tratta di realtà comprese in importanti gruppi bancari e assicurativi che per questo motivo hanno varie opportunità di upselling e crosselling”. Gli anni di utili messi in cascina, quindi, hanno dato alle banche-reti le risorse necessarie per investire nell’approccio al cliente e tutti dovranno modificare il proprio modello di servizio: “Se fossi nei distributori, sfrutterei l’occasione per investire nella vicinanza al cliente. A nostro modo di vedere, c’è una latente potenzialità inespressa di tutti gli operatori italiani della distribuzione e il Covid ha acclarato una situazione ormai chiara: bisogna agire per migliorare tutti i modelli di servizio”. Per il futuro, l’industria del risparmio gestito necessita di un significativo rinnovamento. E la svolta potrebbe avere alcuni riscontri pratici nell’immediato. Per esempio, operazioni di fusione e acquisizione tra i vari player del settore, oppure una razionalizzazione del numero dei prodotti: “Dal nostro punto di vista”, prosegue il partner di EY, “i cataloghi sono diventati ipertrofici nel corso degli ultimi tempi. C’è già stata una prima razionalizzazione. Il futuro dice chiaramente che, essendoci una compressione sui margini e un deflusso sulle masse, devi provare a vendere prodotti che costano poco e rendano il minimo sindacale per la media del mercato”.

Rebus gestioni passive
Un grande rebus per gli asset manager è proprio la migrazione da prodotti a gestione attiva a quelli a gestione passiva come gli Etf, fondi che replicano l’andamento di un indice: “Quelli a gestione attiva hanno costi maggiori, bisognerà capire come risponderanno gli operatori. Probabilmente si convergerà sulla limitazione dei deflussi e sulla riduzione dell’onerosità del prodotto. Questo accentuerà il processo di passaggio dalla gestione attiva a quella passiva. Nella seconda parte dell’anno, quasi tutti gli operatori andranno in questa direzione”. Lo studio di EY, nelle sue conclusioni, è arrivato a indicare diverse aree di intervento per superare la crisi all’orizzonte: prima di tutto, una riduzione dei costi intervenendo sulla parte variabile della retribuzione e la riduzione delle spese di trasferta. E poi: il miglioramento nell’utilizzo dei canali digitali per migliorare la gestione della relazione con il cliente, l’intensificazione degli investimenti sostenibili incorporando i fattori Esg nei criteri d’investimento. Chiudono il quadro una terapia a base di fusioni e acquisizioni, che dovrebbe massimizzare i frutti di una seconda parte dell’anno che vedrà un miglioramento nel mercato e della propensione al rischio degli investitori con relative modifiche nelle strategie di investimento. E che dire di quanto sta accadendo nel mondo delle banche-reti, dove dopo una fase di afflussi sull’amministrato è ripartita la raccolta sul gestito? “Confrontandomi con gli operatori”, spiega Incarnato, “ho trovato conferma che molti clienti hanno disinvestito non appena c’è stato sentore di crollo dei mercati accentuandone ancora di più la flessione. C’è stato un naturale effetto paura che ha portato a mettere soldi nei conti deposito. Ora c’è un ritorno sul gestito perché è stata già superata la fase della paura e della reazione emotiva. Per la seconda fase dell’anno prevediamo che ci sarà un ritorno alla crescita della raccolta netta ”

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