Consulenti, 11 lezioni di finanza spicciola – La risposta dell’elefante

Prosegue rubrica in 11 episodi che vi introdurrà ai contenuti del libro “La finanza spiegata bene” del giornalista Mauro del Corno.

Qui la prima puntata.

Qui la seconda puntata.

Qui la terza puntata.

Qui la quarta puntata.

Qui la quinta puntata.

Qui la sesta puntata.

Il settimo estratto (clicca qui per acquistare il libro completo) è parte del settimo capitolo, o settima lezione, il cui tema è la ricchezza.

Quando si parla di distribuzione della ricchezza e andamento delle diseguaglianze la confusione incombe. Esistono innumerevoli statistiche, abbondanza di cifre, non di rado in contrad- dizione tra loro. Spesso si confondono redditi con patrimoni, accrescendo il disordine del- la materia. Così due tesi opposte, ossia che la povertà diminuisce e che la povertà, o quanto meno il disagio sociale aumenta, finiscono per essere entrambe sostenibili. Un grafico realizzato dall’economista Branko Milanovic, utilizzando un’infinità di dati, fornisce un aiuto prezioso. È noto come il grafico dell’elefante, per la sua forma che rimanda a quella di un pachiderma con la proboscide sollevata. I dati sintetizzati nella curva riguardano il decennio 1998-2008 ossia il periodo immediatamente antecedente alla crisi finanziaria che possono considerarsi tra quelli più globalizzati della storia dell’umanità.

Sulla colonna verticale si legge se il reddito è aumentato e di quanto. In orizzontale sono in- vece riportati i vari decili di reddito della po- polazione mondiale. Vale a dire dal 10% che guadagna di meno fino al 10% che guadagna di più. Il grafico ci dice parecchie cose. Innanzi- tutto che per una larga parte della popolazione globale i redditi sono effettivamente aumentati. In particolare per i primi sette decili, con un picco tra il quinto e il sesto decile che ha visto i propri introiti aumentare di quasi l’80%. Chi c’è dietro questi numeri? Ci sono soprattutto lavoratori di economie emergenti come India, Cina, Vietnam e altri. Persone che partivano da un livello di reddito molto basso che hanno in
dubbiamente beneficiato del processo di globalizzazione in termini economici.  Il grafico mostra però anche come, a partire dal settimo decile, l’incremento dei redditi si riduca rapidamente fino ad azzerarsi. Addirittu- ra, gli appartenenti all’ottavo decile non hanno tratto alcun beneficio reddituale da questo decennio di globalizzazione galoppante. Chi sono?  Fondamentalmente tutti i membri della classe media dei paesi economicamente sviluppati, come gran parte della popolazione italiana. Ma la «proboscide» del grafico segnala un’altra cosa importante. Quelli che erano già i più ricchi del mondo (ultimo decile, e in particolare ultimo 1%), hanno a loro volta registrato un’impenna- ta dei guadagni, saliti di oltre il 60%.  In altri termini quindi, a livello mondiale, i molto poveri e i poveri sono diventati meno poveri, i ricchi sono diventati più ricchi, per chi stava in mezzo non è cambiato nulla, in termini asso- luti. In termini relativi, invece, si sono ridotte le distanze dai più poveri e si sono allungate quelle dai più ricchi. Queste dinamiche spiegano, e in certa misura giustificano, il diffuso aumento del sentimento di incertezza e precarietà della pro- pria posizione che attanaglia grandi fette delle so- cietà occidentali. Queste tendenze sono suffragate dai numerosi dati, più o meno spettacolari. Ne citiamo solo un paio particolarmente indicativi. Lo stipendio di un amministratore delegato oggi vale fino a 400 volte quello medio di un suo di- pendente. Fino all’inizio degli anni Ottanta que- sto rapporto non andava oltre 1 a 30. Vale la pena ricordare che secondo Adriano Olivetti, uno dei più illuminati e capaci imprenditori della storia italiana, questo rapporto non avrebbe mai dovuto superare 1 a 10. Un dipendente statunitense deve lavorare 129 ore per acquistare un’azione dell’indice azionario S&P500, il triplo di dieci anni fa.  Questo dimostra come la ricchezza degli azionisti, in genere persone già appartenenti alla fascia più benestante della popolazione, sia aumentata molto più rapidamente rispetto a chi può contare esclusivamente sul proprio stipendio. Un eccesso di diseguaglianze non nuoce però solo a chi lo patisce ma anche alla crescita nel suo complesso come dimostrano ormai innumerevoli studi.  Sia per l’effetto depressivo sui consumi sia per le tensioni sociali che, prima o poi, finiscono per esplodere. Non è un caso che negli ultimi anni organizzazioni come il Fondo monetario internazionale o l’Ocse, abbiano sottolineato la necessità di arginare l’incremento della distanza economi- ca tra le diverse fasce della popolazione.

 

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