Fee only, radiografia del mondo degli autonomi

Il consulente finanziario autonomo rappresenta una figura professionale molto affermata nel Regno Unito e negli Stati Uniti, ancora poco consolidata in Italia dove, tra società e singoli professionisti, si contano circa 240 professionisti contro gli oltre 55mila consulenti iscritti all’Ocf. Eppure la cosiddetta consulenza fee only interessa oggi ben il 91% dei clienti Hnwi (in crescita dall’89% registrato nel 2019), riguarda circa il 75% della clientela private (era il 69% nel 2019) e oltre la metà (55%) dei clienti affluent (dal 45% del 2019). Certo, il termine fee only è accattivante e piace a prescindere. Tanto è che questo servizio viene offerto con grande successo anche dalle banche e dalle reti dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede. Fatta questa premessa, cosa impedisce oggi alla consulenza autonoma (e indipendente da una società mandante) di raggiungere i numeri dei paesi anglosassoni?

Le spiegazioni possono essere molte, cerchiamo di individuare le principali. L’Italia è un paese bancocentrico dove, nel bene e nel male, le banche hanno rappresentato e rappresentano un collettore di istanze finanziarie, erogando e gestendo denaro: il mercato dei capitali, rappresentato in primis dalla borsa, è infatti sottodimensionato rispetto ad altri paesi anche a causa della taglia medio piccola e del controllo familiare delle imprese italiane. La reputazione delle banche, pur messa a dura prova da crisi e scandali, rimane forte, soprattutto per quegli istituti che sono diventati polo aggregante. Reputazione fa rima con fiducia e fiducia è il propellente per acquisire e gestire clienti. Le banche poi si sono evolute, digitalizzandosi e dando vita a nuove banche. Stiamo parlando nello specifico delle banche-reti che, grazie alla figura professionale del consulente finanziario, sono riuscite a cavalcare due trend emergenti: la digitalizzazione, in sostituzione della presenza fisica e territoriale e la maggior proattività commerciale legata a una professione interamente remunerata a provvigione.

Social e contenti

Ecco allora che sorge spontaneo un interrogativo: in che misura un singolo professionista, per quanto valido e preparato e con una solida reputazione, può competere con una banca o una banca-rete che è presente sul mercato da almeno 50 anni e che ha investito milioni di euro in comunicazione? E quanto lo stesso professionista può disporre di tecnologie, strumenti, piattaforme in grado di fornire una consulenza finanziaria evoluta al pari delle banche? Certamente le possibilità per un ulteriore sviluppo della consulenza autonoma ci sono, ma richiedono tempo, d’altronde anche il consulente finanziario, oggi apprezzato e stimato, ha dovuto lottare per decenni prima di vedere riconosciuta appieno la propria professione. Per comprendere la possibile evoluzione della figura del consulente autonomo giova certamente anche analizzarne il profilo. Da una ricerca condotta da Finer su 177 consulenti autonomi rappresentativi dell’universo di riferimento costituito da 240 professionisti operativi a inizio 2020 (fonte: Consultique Scf, Nafop, AssoScf, n.d.r.), emergono alcuni dati non banali. Innanzitutto i consulenti autonomi sono mediamente molto soddisfatti (il 54% addirittura completamente) della loro professione, sono per lo più laureati (71%), utilizzano i social network (soprattutto LinkedIn) in misura maggiore (77%) rispetto alle altre figure professionali. La giornata media del consulente autonomo evidenzia una minor rendita di posizione e un minor supporto operativo rispetto al consulente finanziario con mandato.

A caccia di clienti

Rispetto ai consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, per gli autonomi è infatti minore il tempo dedicato ai clienti acquisiti (36% vs 46%), mentre è maggiore quello dedicato allo sviluppo di nuovi clienti (22% vs 16%). Per gli autonomi è inoltre maggiore il tempo dedicato ad attività amministrative e burocratiche (25% vs 18% dei consulenti abilitati all’offerta fuori sede) non essendoci una mandante alle spalle. Il consulente autonomo sembra essere maggiormente vittima della sindrome da lupo solitario: tra gli autonomi, infatti, il 26% è poco incline a farsi affiancare da giovani colleghi e comunque non è propenso a lavorare in team (rispetto al 12% dei financial advisor delle banche-reti). Tra i financial advisor fee only si riscontra anche una buona dose di fiducia sul futuro: il 40% dei consulenti autonomi vede un avvenire migliore per la propria professione rispetto al 29% dei consulenti delle reti e al 9% dei bancari. Quale futuro dunque per i consulenti autonomi? Ci molte buone ragioni per pensare che questa professione offrirà grandi opportunità, soprattutto considerando che in Italia abbiamo oltre 25mila esuberi bancari e la consulenza finanziaria si sta estendendo sempre di più in ambito fiscale, successorio, assicurativo o in ambito corporate.

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