Consulenti, diario di un grande portafoglista: tra indipendenza e successo

Per il progetto Oh MMen, Nicola Scambia intervista Marco, nome di fantasia, consulente con oltre 100 milioni di portafoglio. Se sei interessato a raccontare la tua storia (e hai un portafoglio di almeno 100 milioni di euro) scrivi a [email protected]

Alla velocità del caso

Gli chiedo come ha iniziato a fare il consulente finanziario, mi risponde, netto:

“Per caso. Siamo nel ’95. Esame all’università di economia dei mercati e degli intermediari finanziari. Un mio amico mi racconta che sta provando l’esame per iscriversi all’albo dei consulenti finanziari. Allora io, dato che sto preparando proprio l’esame sull’intermediazione, decido di provare. Non ho studiato apposta, ma mi iscrivo lo stesso e passo. Al primo colpo.”

Come niente fosse, insomma. Con il patentino in tasca, Marco (nome di fantasia, il nome vero lo leggerete quando sarà pubblicato il libro) continua a studiare e a giocare a baseball. “Sono stato un giocatore professionista, ed è stato così che mi sono ripagato l’università. La squadra mi dava un milione di lire al mese, negli anni ’93-95 e la cosa già mi permetteva di mantenermi da solo. La mia era una famiglia normale: mia mamma casalinga, mentre mio papà è stato un imprenditore non di successo’, che ha sempre fatto grandi danni (ride). Mio fratello, infine, fa l’avvocato specializzato in trust. È anche professore universitario e anche lui si è ‛fatto da solo’.”

Non cercarsi i clienti. Prima puntata

Il patentino, però, se sembra non interessare ancora Marco, troppo impegnato su altri fronti, interessa però i suoi amici che cominciano a chiedergli consigli.  Ed ecco che capita un altro “colpo di fortuna”. Marco me lo racconta così: “Avevo un conto corrente presso la banca Cassa di Risparmio di Torino da quando avevo 18 anni. Mi contatta un loro dipendente, viene a sapere che ho il patentino, e mi dice che hanno in progetto di aprire una rete di contatti. Quindi, mi chiede se voglio provare. Mi prospettano di non lavorare, ma gli basta che porti dei clienti. E allora ci provo. Era il 1996.

“Ho lavorato per hobby per tre anni. Ed era proprio un hobby perché a me la finanza è sempre piaciuta – anche da ragazzo facevo i banking games, e quindi mi ci sono divertito.”

In quel periodo si delinea una caratteristica che ritroveremo anche in Marco consulente affermato: non va mai a caccia di clienti.

“Quando i miei amici hanno saputo che lavoravo in una banca, anche se in posizione defilata, sono stati loro a proporsi come clienti. E, per tre anni, ho arrotondato quel che prendevo con la mia attività di giocatore di baseball vendendo ad amici prodotti che non dovevano essere gestiti e sono stato da dio, felice e soddisfatto.”

Da un problema, una nuova opportunità

Dopo tre anni”, continua a raccontare Marco, “nasce un problema: mi rompo un ginocchio. Io facevo il lanciatore, il pitcher, e ho vinto tre scudetti giocando in tre categorie diverse: ragazzi, juniores, cadetti. Però avevo le gambe sottili, e un giorno mi sono rotto il tendine rotuleo. È stata la mia fortuna: ho smesso di fare il giocatore e da lì è iniziata la mia attività di consulente.

“Passo quindi, sempre all’interno della Cassa di Risparmio di Torino, alla Fida SIM. E da lì, in effetti, non mi sono più mosso. O, meglio: dal ’96 sono sempre nello stesso gruppo, non ho mai cambiato società anche se, nel tempo, è la società che è cambiata, diventando ora Unicredit SIM, e  infine Xelion. Come dire che, senza mai spostarmi ho visto cinque diversi amministratori delegati.”

Nel 2001 Marco  si sposa con quella che – e lo dice con orgoglio – “è stata la mia unica donna”, con cui stava da quando aveva 18 anni e con cui – e anche questo lo rimarca con soddisfazione –  “ho passato più anni che da solo”.  Nel 2006 nasce la figlia Angelica.

Autodidatta per non perder tempo

“All’università”, mi spiega Marco , “non ho mai frequentato i corsi. Mi sembrava una gran perdita di tempo: se c’è un libro da leggere, me lo studio per conto mio e sicuramente ci perdo meno tempo.” Con  questa convinzione, Marco si dichiara autodidatta anche per quel che riguarda la consulenza finanziaria. “Sì, la formazione me la sono fatta da solo e continuo anche ora perché, dato che lavoro all’interno di un network, posso prendere e andare a incontrare i gestori che mi interessano – per esempio a New York –  e studiare le loro strategie. Del resto sono iniziative mie, non me le paga la banca.”

Anche questo elemento – l’indipendenza anche dal network a cui appartiene, un’indipendenza che è disposto a pagare di tasca sua – è qualcosa su cui Marco insiste e che fa parte integrante del suo profilo.

L’importanza di essere indipendenti

“La mia sede è qua a Milano, dove mi trattengo tre giorni alla settimana per poi tornare a Parma.

Siamo un gruppo autonomo di quattro persone e il portafoglio più piccolo è di cento milioni. Proprio per la nostra ‛forza’ avevamo bisogno di affrancarci dal resto della rete, specialmente perché, dopo aver vissuto di un mercato di domanda per tre o quattro anni, il vecchio management ha fatto alcune scelte negative dalle quali abbiamo dovuto per forza prendere le distanze.”

Che genere di scelte, gli chiedo.

“Principalmente, scelte di persone. Gente che è stata reclutata da altre reti in cui però non erano una vera risorsa, ma un problema. E quel problema ce lo siamo ritrovati noi. A quel punto, abbiamo finito di fare reclutamento sulla rete alpha – che era la nostra gallina dalle uova d’oro – e si è bloccato tutto il sistema del recruitment.

Nel 2008, quando Unicredit si fonde con Banco di Roma, è necessario razionalizzare anche le due società di gestione, Fineco e Xelion, e quindi si decide di dare la prevalenza a Fineco che in quel momento era la realtà che prometteva meglio. È stato un processo molto duro, dato che eravamo sovradimensionati e quindi sono stati in molti a trovarsi nelle condizioni di lasciare. Noi del nostro gruppo, invece, abbiamo deciso di tener duro e abbiamo fatto un atto di fede. Per tre anni non è successo niente, ma dal quarto anno in poi qualcosa si è visto.”

Successo e problemi del recruitment

“Sono sempre stato nelle grazie dei miei amministratori delegati e con Vincenzo Bafxxxx  in particolare abbiamo costruito un percorso”, mi confida Marco .

“Quando si è trattato di fare del recruiting a Roma, per esempio, ho fatto da testimonial e ho partecipato attivamente. C’erano due area manager – uno  che purtroppo è morto  a 55 anni, e l’altro era Ezio il Grande. Be’, in due anni abbiamo portato a casa un miliardo di euro, con 20-25 consulenti, tutti dalla stessa rete. Come dire: noi il Lazio l’abbiamo demolito.

“A questo punto, davanti a questa emorragia fortissima, Luciano, che era il capo della Società Alpha, visto che non riusciva a frenare l’esodo di consulenti e masse, gioca il tutto per tutto e chiede di venire da noi.

“E qui, però, di colpo, tutto si blocca. Un giorno, eravamo a Firenze e c’erano cinque consulenti che dovevano firmare per passare con noi. Era tutta la rete della Società Alpha di Firenze. Potevamo limitarci a cambiare l’insegna e ci saremmo ritrovati con un centinaio di milioni, perché i cinque facevano più di venti milioni a testa.

“Ma ecco che uno di loro riceve una telefonata, sgrana gli occhi e poi mi fa: ‛Marco , abbiamo un problema. Anzi ce l’avete voi’.

“‛Di che si tratta?’”, chiedo.

“‛Luciano è passato da voi, e noi non ci vogliamo lavorare. Per cui, di tutto questo non si fa più niente.’

Da quel momento non abbiamo più reclutato nulla.”

La presenza di Luciano, insomma crea un problema. Marco ne parla con Vincenzo Bafxxx, con cui condivide anche una serie di informazioni su certe “tattiche” non propriamente ortodosse di Luciano – tipo che quando un consulente dava le dimissioni, era subito pronto un dossier su tutti i piccoli segreti personali e professionali che veniva utilizzato come arma di ricatto.

Il capo capisce il problema., ma non può far nulla: il bisogno di crescere a tutti i costi supera anche le perplessità sullo stile delle persone.

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