Consulenti e contratti, il diavolo è nei dettagli

Meccanismi incentivanti, patti di non concorrenza e di stabilità. Il dipendente bancario che vuole diventare consulente finanziario, o il professionista che cambia rete, deve ponderare bene le offerte dei reclutatori. “La maggioranza degli head hunter, soprattutto se consulenti con l’incarico accessorio di reclutamento e coordinamento, sono professionisti seri che si astengono dal rilasciare notizie fuorvianti”, ha spiegato a BLUERATING l’avvocato Marco Da Villa, dello studio Frame Lex, “tuttavia, possono manifestarsi anche situazioni poco trasparenti che inducono il candidato ad assumere una decisione importante, sulla scorta di false raccomandazioni o di interpretazioni superficiali degli accordi contrattuali”. Da Villa segue molti professionisti del mondo bancario e della consulenza finanziaria. E, nella sua lunga carriera, si è trovato ad assistere diverse persone che, una volta lasciato il posto fisso, si sono trovate a non poter esercitare la professione poiché fortemente limitate dal patto di non concorrenza.

“Generalmente i patti hanno la durata di 24 mesi”, prosegue l’avvocato, “anche se alcuni sono limitati a 12. Chi li firma non può svolgere le attività di prima: dalla gestione del portafoglio, alla vendita di prodotti di risparmio gestito o assicurativi. E il guaio è che spesso l’attività è limitata non solo nella provincia di residenza, ma anche nella regione o addirittura in quelle limitrofe”. I patti sono leciti e riconosciuti dalla legge. Il consulente che li viola rischia di essere inibito dal Tribunale del Lavoro. “Purtroppo il vincolo non si riesce a superare, a meno che il professionista non provi a far dichiarare la nullità del patto, oppure cerchi di diminuire la portata inibitoria”. In quest’ultimo caso, in buona sostanza, si tratta di trovare un accordo: “Il mio obiettivo è cercare di ottenere un’inibitoria concentrata solo sui vecchi clienti, ma libertà totale su quelli nuovi o che nel frattempo si siano già trasferiti”, spiega il legale, “se non si riesce a ottenerlo dal Tribunale, non resta che pagare. Ma le penali spesso sono elevatissime, dai 100mila euro in su”. Le banchereti, invece, hanno i patti di stabilità per evitare di perdere i nuovi consulenti: “Consistono in un premio da pagare, solitamente del 2% o 3% del giro di portafoglio, in cambio di una permanenza di almeno 5 anni. Chi va via prima, però, deve restituire i premi”. L’avvocato, poi, invita consulenti e bancari che sono alle prese con i processi di reclutamento a farsi aiutare da un professionista. “La parte più spinosa, per la quale suggerisco caldamente l’aiuto di un legale è la comprensione dei meccanismi incentivanti. Io stesso, nonostante gli anni di esperienza, devo leggerli almeno tre volte per capirli. E occhio a quando dicono che viene assegnato un pacchetto di clienti: magari danno un portafoglio di 5 milioni, ma di clienti che magari hanno da anni conti deposito e non sono per nulla intenzionati a investire i soldi in modo diverso”.

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