Consulenti e ricambio generazionale, un assist dal Recovery Plan

Articolo a cura di Maurizio Primanni.

Il settore della consulenza finanziaria nel nostro Paese ha un limite di cui non sempre si approfondiscono abbastanza le conseguenze per la professione: la poca presenza dei giovani. Ciò significa rinunciare a competenze e intelletti vivaci, aggiornati, con una propensione e un’attitudine alle nuove tecnologie, ai nuovi trend di mercato; tutti elementi che sono il sale della consulenza finanziaria. Anche a causa del lockdown la gestione del risparmio sta evolvendo verso un’offerta (e un linguaggio) più innovativi, più vicini alla mentalità dei giovani, quali, non solo clienti, ma anche consulenti. Inoltre, in assenza di giovani che accedono alla professione, il settore nel tempo tenderà a concentrarsi nelle mani di pochi, il che comporta minore concorrenza e conseguente rischio di minore qualità della consulenza finanziaria.

Entusiasti e positivi
Soprattutto i giovani sembrano più propensi ad assecondare, con l’entusiasmo e la positività propri della loro età, l’aspetto più attraente della professione: il suo valore sociale, il farsi carico a tutto tondo dei desideri, in ultima analisi del raggiungimento degli obiettivi di vita, di una persona. Nonostante i programmi di avvio alla professione dedicati ai giovani sviluppati da quasi tutte le reti (penso per esempio a Fideuram, Fineco, Mediolanum o altre realtà che da tempo stanno lavorando su questo ambito), non si è avuto un incremento significativo del numero di giovani consulenti finanziari. Secondo la relazione annuale Ocf 2019 (l’Organismo di vigilanza e tenuta dell’Albo unico dei consulenti finanziari), l’1,8% dei consulenti ha meno di 30 anni, il 9,5% tra 30 e 40. Non solo, l’età media dei consulenti iscritti all’Albo è 51 anni.

Calo degli iscritti
Negli ultimi cinque anni (2014-2019) l’incremento degli associati è stato pari allo 0,5%. Queste le variazioni annuali: +2,8% (2014-2015), 1,1% (2015-16), 1,4% (2016-2017), -0,9% (2017-2018), -3,7% (2018-2019). È evidente che c’è un problema di ingresso dei giovani e che la situazione va peggiorando. Quella del consulente finanziario è un’attività da libero professionista remunerata in proporzione alla ricchezza gestita. Un percorso che si costruisce nel tempo con determinazione e investimento di tempo. Si consideri che la situazione ottimale è quella di colui che gestisce un patrimonio di 18-20 milioni per una platea di circa 120-150 clienti, ma servono anni per arrivare a tale condizione. Ciò disincentiva un giovane ad accedere a questo percorso e determina numerosi momenti di demotivazione che nel tempo il giovane può superare solo con grande determinazione e fiducia in se stesso. Inoltre, c’è un tema iniziale che rimanda in generale alla sottocultura economica e finanziaria del nostro Paese. In un’analisi condotta dalla nostra società nel dicembre 2020 su un campione di 25 università italiane, abbiamo verificato che solo quattro hanno un percorso dedicato a chi vuole svolgere la professione di consulente finanziario/private banker e forniscono una preparazione completa in vista dell’esame all’Ocf. Da aggiungere anche che la professione del consulente finanziario è molto complicata. Presuppone una conoscenza molto approfondita e vasta, con competenze che vanno dai prodotti alla normativa, dal marketing all’Ict alla comunicazione, e con il fattore esperienza che deve essere acquisito sul campo. La soluzione deve venire da un progetto di sistema con un ruolo di supporto che potrebbe essere giocato dallo Stato. Le banche-reti dovrebbero migliorare i piani di inserimento, partendo dalla diffusione interna della cultura di knowledge management e di team building tra vecchie e nuove generazioni di consulenti, per favore l’apprendimento sul campo.

Un aiuto dallo Stato
Lo Stato potrebbe supportarle favorendo l’accesso alla professione anche attraverso agevolazioni, a partire da quelle fiscali, sia per le reti che approntano piani specifici per i giovani, sia per i giovani stessi che decidono di intraprendere il percorso verso la consulenza finanziaria. Il Next Generation EU stanzia 209 miliardi per l’Italia, per creare un’economia più di supporto ai giovani e al lavoro. Inserendo anche questo capitolo nel Recovery Plan, le banche reti, in sinergia con l’intervento pubblico, potrebbero quindi essere coinvolte in un progetto pubblico-privato per la diffusione della professione del consulente finanziario presso i giovani. Visto il ruolo sociale della consulenza finanziaria, da tale progetto non dovrebbe essere escluso anche un intervento pubblico a lungo termine più istituzionale e accademico, che passi dalla educazione finanziaria degli italiani (sulla falsariga e sviluppando quanto fatto da Bankitalia e Consob) e dall’organizzazione di corsi dedicati alla professione del consulente finanziario all’interno di gran parte delle Università italiane.

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