Consulenza e giovani, crediamoci davvero

BLUERATING ha pubblicato un interessante articolo a cura di Maurizio Primanni, dal titolo “Consulenti e ricambio generazionale, un assist dal Recovery Plan”, focalizzato sullo stato di salute della professione di consulente finanziario. L’incipit entra subito nel vivo: “Il settore della consulenza finanziaria nel nostro Paese ha un limite di cui non sempre si approfondiscono abbastanza le conseguenze per la professione: “LA POCA PRESENZA DEI GIOVANI” (il maiuscolo è mio). Più che nel vivo, dovrei dire che mette il dito nella piaga, ancora non sanguinante, ma aperta. Dunque, mettiamo un pò di ordine. Era il 2011, quando in occasione del mio primo convegno come presidente di Anasf, a Rimini, chiusi la tavola rotonda, sostenendo la necessità, guardando al futuro, di “fare sistema” sul versante dei giovani per garantire l’avvio di un ricambio generazionale, chiamando a raccolta tutte le energie degli stakeholder di settore, in primis chi detiene le risorse finanziarie. Sono passati dieci anni e oggi siamo in affanno nell’implementazione di quel processo di ricambio che dovrebbe essere alla base di un sano sviluppo della professione.

MIOPIA DEGLI INTERMEDIARI
È chiaro che si è trattato di una miopia degli intermediari e delle reti di vendita, che hanno, legittimamente, orientato la propria azione sulle masse in gestione, sul reclutamento dei bancari, sul conseguimento di ingenti utili, poi girati in gran parte agli azionisti di riferimento. Insomma, l’industria della consulenza, al pari di quanto è avvenuto in altri settori dell’economia e della società hanno parlato di giovani, ma hanno nei fatti preferito gli adulti e i soggetti già professionalizzati, attraverso una fortissima concorrenza tra reti e un’attrattività molto incentivata verso i gestori e i private delle banche e delle società d’investimento. Certo, non è mai troppo tardi, basta solo avere ben chiaro che il contesto è cambiato, l’asticella per svolgere la professione di consulente finanziario si è alzata, la presenza della tecnologia è immanente, i margini del settore sono diminuiti. Quindi, l’inserimento di giovani professionisti si rende improcrastinabile, non fosse altro perchè l’innovazione tecnologica è connaturata a una popolazione di nativi digitali, ma richiede maggiori sforzi e risorse dedicate per crearne le premesse e la reale implementazione. La conferma ci viene proprio in queste settimane dalla notizia che quasi tutte le banche presenti in Italia, con in testa i big di settore, entro il 2023 faranno un’infornata di oltre 10mila giovani, assumendo in preferenza neolaureati in materie scientifiche (tecnologia, ingegneria, informatica, matematica). È evidente a tutti che il settore della consulenza finanziaria non pesca sullo stesso bacino o almeno solo in parte, perché nel caso degli istituti bancari si tratta di assunzioni con contratti di lavoro dipendente, ancorché abbinati, nel segmento distributivo, a forme di incentivazione al raggiungimento di risultati.

PIANI DI INSERIMENTO
Motivo in più per essere preoccupati, se la fascia anagrafica è la stessa e la tendenza generalizzata nel nostro Paese è quella di un posto “fisso” con la banca considerata un nuovo possibile approdo di lavoro. “Il crepuscolo del bancario, l’alba del consulente” rischia di non essere più una anticipazione del futuro prossimo venturo? Invito a leggere tutto l’articolo citato in premessa, poichè è ricco di contenuti e proposte, che rispecchiano in pieno il mio pensiero. Vorrei provare ad aggiungere qualche ulteriore osservazione, recuperando un altro passaggio che recita così: “La soluzione deve venire da un progetto di sistema con un ruolo di supporto dello Stato”. Di nuovo, un “progetto di sistema”, questa è la strada da seguire. Per farlo occorre avere tre ambiti di interlocuzione: le università, le reti, lo Stato. Sulle prime, è assolutamente necessario avviare specifici percorsi dedicati allo svolgimento della professione di consulente finanziario/private banker in modo molto più diffuso nelle rete universitaria sul territorio di quanto non sia ora. Quanto ai soggetti che conferiscono l’incarico nell’ambito della consulenza finanziaria esercitata fuori sede, essi devono dedicare una parte importante del proprio budget, soprattutto destinato alla fase iniziale di avvio alla professione, quindi prevedendo specifici piani di inserimento, senza aspettare improbabili forme di agevolazione fiscale.

EDUCARE I RISPARMIATORI
Infine, last but not least, lo Stato, ma in quale forma? La proposta citata fa riferimento alle possibilità di ottenere risorse del Ngeu e qualora questa fosse una strada percorribile ben venga. Tuttavia, per consolidare la conoscenza presso il pubblico dell’attività del consulente finanziario e la percezione del suo ruolo sociale sarebbe utile agganciarsi alle iniziative poste in essere sul versante dell’educazione finanziaria, segnatamente attraverso il Comitato Nazionale per l’Educazione Finanziaria, presieduto dalla professoressa Annamaria Lusardi, nel quale siede anche il rappresentante dell’Albo di consulenti, cioè l’Ocf. Perché utilizzare quell’ambito? Intanto perché già attivo da qualche anno, ma soprattutto per valorizzare la figura del consulente finanziario e la sua evoluzione. Infatti, non è ancora chiaro che occorre veicolare non soltanto un’alfabetizzazione di base dei risparmiatori o di alcune fragili fasce della popolazione, quanto la conoscenza presso il pubblico indistinto di operatori qualificati in materia di gestione del risparmio, ai quali naturalmente rivolgersi, analogamente a quanto avviene per altre professioni o prestazioni di natura professionale, cioè che hanno organicamente le caratteristiche tipiche delle professioni, quali i contenuti, le conoscenze, le competenze, i fini. La strada è lunga, ma nonostante il ritardo di questi anni, e osservando con soddisfazione la crescita del settore, sono confidente sulle prospettive della nostra attività, anche in termini di ricambio generazionale. Occorre crederci, però, fino in fondo.

 

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