Compensi ai top manager, pieni voti per Generali

Generali e Unicredit agli estremi dei compensi per i top manager.
Questo è lo scenario che emerge dall’attuale stagione di assemblee delle maggiori società quotate a Piazza Affari, come riporta un articolo pubblicato oggi sulle pagine di economia di Repubblica. Gli investitori istituzionali non hanno fatto sconti, mantenendo ferma la loro linea severa sui compensi ai top manager, ritenuti spesso troppo generosi, e su politiche di remunerazione poco trasparenti o poco in linea con il mercato.

Solitamente, sottolinea Repubblica,  nelle assemblee dei gruppi quotati a piazza Affari sono i fondi esteri a guidare le danze dei contrari, semplicemente in ossequio delle indicazioni dei proxy advisor.

Se l’anno scorso, su questo fronte, Generali ne era uscita ammaccata; quest’anno il Leone di Trieste ha aggiustato il tiro e in assemblea i due ordini del giorno sullle politiche di remunerazione hanno ricevuto rispettivamente il 95,3% e il 92,3% dei voti favorevoli.

Situazione più critica per Unicredit che nell’ultima assemblea, in accordo con le avvisaglie dei proxy advisor nei mesi scorsi, ha visto fortemente contestata la politica di remunerazione del nuovo a.d. Orcel (7,5 milioni con la parte variabile), approvata con una maggioranza non molto ampia del 54,1% dei voti, di gran lunga inferiore al 95,7% ottenuto invece dalle politiche di remunerazione dello scorso esercizio, votate nell’assemblea del 2020.

In casa Terna i dissensi di una parte degli azionisti si sono concentrati sul trattamento economico per il cambio della guardia tra Luigi Ferraris e Stefano Donnarumma, avvenuto nel maggio 2020. L’ex amministratore delegato di Terna  infatti ha ricevuto 4,7 milioni lordi tra indennità di rapporto e altre spettanze. I compensi ai top manager relativi all’esercizio  2020 hanno ricevuto solo il 59,17% dei voti favorevoli in assemblea.

Salto in avanti infine di Azimut. Nell’assemblea della società fondata da Pietro Giuliani, i compensi ai top manager hanno ottenuto  il 54,3% dei voti favorevoli  e  le politiche di remunerazione hanno ottenuto un’approvazione dell’84,2% . L’anno scorso, scrive ancora Repubblica, erano invece risultati maggioritari i voti contro.

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